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L'Agenzia delle Entrate esige 26mila euro. Ma la cartella è del '98

Pensionato alla Meloni: "Ho solo 5 giorni, aiutami". L'Erario ignora le sue lettere

L'Agenzia delle Entrate esige 26mila euro. Ma la cartella è del '98

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L'Agenzia delle Entrate esige 26mila euro. Ma la cartella è del '98

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«Cara Giorgia Meloni, ti scrivo». Un pensionato di Siena ha scritto al premier per chiedere aiuto: ci sono una raffica di cartelle esattoriali che gli sono piovute in testa e che andrebbero saldate in cinque giorni, la più cara è di 26mila euro e farebbe riferimento a un accertamento iniziato nel 1998. In attesa di capire se anche la Rottamazione quater fallirà (poche rate, troppo alte e ravvicinate, se ne parlerà a ottobre), tanto che crescono le domande con il modello Dals sul sovraindebitamento, la storia che racconta il quotidiano La Nazione di Firenze andrebbe recapitata all'Agenzia delle Entrate e al suo numero uno Ernesto Maria Ruffini, secondo cui «combattere l'evasione fiscale è un atto di giustizia, non vuol dire perseguitare i contribuenti». Ma dov'è la giustizia quando si insegue un uomo di 86 anni, intimandogli di pagare in cinque giorni una cifra spropositata per i suoi redditi? «È accanimento», dice l'uomo disperato, che vive senza beni di proprietà e con una pensione modesta.

Si dirà: «Se ha un debito, è giusto che paghi». Ma come è stato possibile aspettare quasi 26 anni per incassare una cartella? Perché l'Agenzia delle Entrate non si è mossa prima? Perché, nonostante banche dati e controlli incrociati, ci sono 22 milioni di italiani nella morsa dell'Erario? Si tratta di una tra le 26 milioni di cartelle esattoriali rimaste «incagliate» a causa del Covid? O forse è una delle tante cartelle «pazze» (ovvero non più esigibili) di cui parlava il Giornale ieri dopo la denuncia di una raffica di commercialisti?

Non sarebbe improbabile. Solo il 9% degli 1,1 miliardi di euro in pancia all'Agenzia sono realmente esigibili. Secondo i calcoli di Federcontribuenti più di una cartella su due (il 56%) farebbe riferimento a tributi prescritti o già pagati, imposte annullate da giudici tributari, tasse automobilistiche annullate dai giudici di pace, tasse sui rifiuti su immobili locati richiesti al proprietario (invece che all'affittuario) o da errori sul calcolo della tassazione separata. E se così fosse, il dirigente che ha firmato l'intimazione a pagare in cinque giorni ha fatto tutte le verifiche necessarie? E perché non ha risposto al contribuente? È per questo che l'esecutivo ha intenzione di rivedere dalle radici contenziosi, accertamenti e riscossione.

«Nessun funzionario si prende la briga di dire abbiamo sbagliato, scusateci», dice al Giornale Gianluca Timpone. Secondo il professionista romano basterebbe introdurre degli automatismi in grado di eliminare sul nascere l'errore, «evitando al contribuente quel girone dantesco chiamato inferno dove è facile entrare è difficilissimo uscire». Il fisco non deve essere amico, come dice Ruffini, ma è anche vero che oggi il contribuente combatte ad armi impari. «Il fisco dispone di tutte le sentenze presenti nelle banche dati il contribuente no. Il fisco si avvale di giudici pagati dal Mef (cioè dagli stessi contribuenti), il cittadino paga dei professionisti per difendersi e quanto vince le spese sostenute vengono disconosciute mentre in caso di soccombenza le somme stabilite dai giudici sono elevate», sottolinea Timpone, che ricorda come molto spesso alcune norme processuali vengano interpretate quasi sempre a favore dell'Agenzia. Di recente l'Erario, pur non essendosi costituito in giudizio e dunque senza contestare i rilievi del contribuente, si è visto attribuire la vittoria. Un caso isolato? «No, è prassi consolidata», dicono in coro molti professionisti.

«L'Agenzia delle Entrate in alcuni casi è stata aggressiva, applicando però norme di legge complesse, difficili, spesso incomprensibili», ripete sempre il viceministro dell'Economia Maurizio Leo, quando nei convegni spiega i canoni della riforma approvata dal Parlamento e in attesa dei decreti attuativi, di cui si discuterà nelle prossime settimane.

Chissà se per allora il pensionato senese avrà avuto le risposte che merita.

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