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L'ala garantista Pd accusa i vertici. "Un errore non sostenere i quesiti"

Molti dem criticano la linea di snobbare i quesiti sulla giustizia

L'ala garantista Pd accusa i vertici. "Un errore non sostenere i quesiti"

Il segretario del Pd è, proprio come il suo junior partner Giuseppe Conte, contrario ai referendum sulla Giustizia, ma una parte consistente dei dem spinge affinché i quesiti vengano sostenuti eccome.

Enrico Letta, quando è divenuto chiaro che le firme avrebbero raggiunto numeri considerevoli, aveva parlato senza mezzi termini di «scelta sbagliata». Alcuni parlamentari, in opposizione alla linea imposta dal segretario, concordano con tutti i cambiamenti richiesti, mentre altri operano qualche distinguo. La sostanza, tuttavia, non cambia: il vento garantista sembra spirare tra i deputati ed i senatori che preferiscono la battaglia alle direttive verticistiche. L'onorevole Enza Bruno Bossio, una nota garantista, tiene a far sapere al Giornale di aver sottoscritto tutti i quesiti e di essere stata in prima linea per l'organizzazione dei gazebo: «Condivido nel merito i contenuti di ogni singolo quesito referendario», ha dichiarato. Poi la bocciatura dell'impostazione sulla Giustizia fornita dall'alleato grillino: «Il successo di questi referendum può rappresentare un sostegno ad una impostazione garantista. L'auspicio è che questo orientamento sia prevalente contro ogni ambiguità, ancora oggi presente, ereditata dal progetto di riforma Bonafede». Se il senatore Tommaso Cerno si limita a dire, non senza lasciare intendere, che «il popolo è sovrano» e che «se vota si ascolta», Salvatore Margiotta, un altro eletto a Palazzo Madama, si pente di non essersi impegnato in precedenza a causa della «disciplina di partito»: «Non ho firmato - ammette, riferendosi alla separazione delle carriere, alla carcerazione preventiva ed alla valutazione dell'operato delle toghe - contando che ce ne saremmo occupati in Parlamento. Non è stato così, sicché intendo dare il mio contributo». L'onorevole Luciano Pizzetti rammenta al Giornale di aver firmato due volte: «Responsabilità civile e separazione delle carriere». Chi, invece, vede la possibilità di allargare le maglie dei favorevoli ad una svolta sulla Giustizia è il senatore Luciano D'Alfonso: «I parlamentari che sostengono i quesiti sono molti - annota, guardando ai suoi colleghi di partito - e crescono ogni giorno. In Abruzzo abbiamo anche fondato un'associazione, 358 dall'omologo articolo del Codice di Procedura Penale». D'Alfonso ha sottoscritto solo quattro dei quesiti proposti ma prende la palla al balzo per tuonare contro la norma relativa al traffico d'influenze: «Sembra concepita dalla cultura istantanea della botola».

Un altro segnale di come una larga fascia del Pd - quella che guarda al centro - , non condivida l'impianto giustizialista della segreteria. E ancora il senatore Alessandro Alfieri che, quando viene interpellato in merito, non stronca il referendum ma cita soltanto una «preferenza», ossia la «via parlamentare». Poi altri due parlamentari di peso: Gianni Pittella ha firmato per cinque quesiti su sei, mentre Andrea Marcucci ha definito l'ammissione dei primi quattro quesiti una «bella sveglia» per le Camere.

Oltre chi, come i lettiani di ferro, vorrebbe che il Parlamento intervenisse prima delle urne, spunta un nutrito gruppo piddino che si dice disposto alla mobilitazione referendaria.

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