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L'allerta in Italia: i pro-Palestina preparano il caos nei nostri atenei

"Se non cambierà, intifada pure qua". Questo è uno degli slogan che si sentono più spesso nelle università italiane e nelle manifestazioni da qualche mese a questa parte, durante le marce di protesta in nome del sostegno alla Palestina

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«Se non cambierà, intifada pure qua». Questo è uno degli slogan che si sentono più spesso nelle università italiane e nelle manifestazioni da qualche mese a questa parte, durante le marce di protesta in nome del sostegno alla Palestina. Il tam-tam online è la chiave per il nuovo passaparola, insieme ai banchetti propagandistici nelle facoltà, dove il clima è sempre più teso e i pro-Palestina sembrano avere preso il sopravvento, come dimostrano gli eventi annullati e le conferenze interrotte. Ma ora sembra iniziare una nuova fase successiva che dalla minaccia passa alla concretizzazione. Dal prossimo 15 maggio, l'associazione dei Giovani palestinesi ha chiamato le università alla «intifada degli studenti».

Il primo passo è realizzare negli atenei accampamenti di tende come sta accadendo nei campus americani, dove la situazione è diventata insostenibile. Gli studenti italiani stanno guardando con ammirazione e desiderio di emulazione quanto sta accadendo dall'altra parte dell'oceano e il rischio è che quel livello di scontri presto arrivi anche da noi. E le prime avvisaglie ci sono già: il prossimo 7 maggio, all'università Statale di Milano, era in programma l'evento «L'unica democrazia del Medioriente. Israele fra storia e diritto internazionale». Ma si è deciso di spostarlo a giugno visto il rischio di scontri, come avrebbe suggerito anche la Questura. Proprio dalla Questura, però, in serata arriva una precisazione: non è mai «stata preventivamente interessata. Pertanto, la Questura non ha potuto sviluppare alcuna valutazione in merito agli eventuali rischi connessi allo svolgimento dell'iniziativa». «Il clima è teso», ha commentato il sindaco di Milano Beppe Sala. Un'ennesima vittoria per i pro-Palestina, che proseguono nei loro sabotaggi e marcano il territorio. Alta tensione anche per il presidio pro-Israele, organizzato a Milano domani a seguito degli episodi di intolleranza del 25 aprile.

«La radicalità delle forme di protesta è un elemento necessario per dar vita a un vero e proprio movimento di sabotaggio della guerra», si legge in una lettera che gli studenti de La Sapienza di Roma hanno fatto girare nei canali legati al mondo anarchico e antagonista, da cui spesso provengono gli infiltrati dei cortei universitari. «Grazie agli scontri con autorità e polizia, e nel vivo delle occupazioni, si pensa meglio. Forza e coraggio», scrivono. Una manifestazione di intenti chiara che si ritrova nella nuova chiamata alla lotta che coinvolgerà buona parte delle università.

Il giorno non è stato scelto a caso: il 15 maggio è l'anniversario della Nakba, l'esodo palestinese del 1948. Un giorno, minacciano col pugno al cielo i Giovani palestinesi italiani, che «Israele non avrà motivo di festeggiare, perché la fine del sistema coloniale è dietro l'angolo». E nel loro manifesto di lancio della «intifada degli studenti», rivolgono lo stesso monito anche all'Occidente, facendosi diretti responsabili del «colpo finale al sionismo e ai Paesi occidentali che lo sostengono e lo mantengono in vita». E, per riuscirci, fomentano gli animi dei giovanissimi, sostengono che «la mobilitazione studentesca deve fare un altro salto di qualità, contro il divieto di governi e rettori contro ogni repressione, sull'esempio dei nostri compagni negli Usa». Le immagini dai campus americani sono sotto gli occhi di tutti. Aule prese con la forza, denunce degli studenti ebrei ai quali è stato consigliato di non presentarsi. L'appello agli studenti, ma anche agli insegnanti da parte dei Giovani palestinesi è di «accamparsi nei cortili finché gli atenei non accetteranno una revoca totale di tutti gli accordi con le università italiane».

Una nuova forma di ricatto contro le istituzioni universitarie che guarda alla violenza dei Campus d'oltreoceano, dove arresti, espulsioni e sospensioni non riescono a contenere le rivolte.

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