L'Altra Italia che piace ai big. Gli azzurri: "Nuovo partito"

In vista del Consiglio, i vertici spingono per non assimilare FI alla Lega. Berlusconi: «Noi centrali, finita la stagione 5s»

L'Altra Italia che piace ai big. Gli azzurri: "Nuovo partito"

Nuovo soggetto politico o patto di non belligeranza con la Lega, magari federazione o partito unico? Il dilemma che agita Forza Italia nasce da segnali contrastanti che prima hanno prefigurato una svolta con coordinatori nazionali eletti come quelli regionali e poi hanno aperto a un nuovo dialogo con Matteo Salvini, che potrebbe stemperare anche l'opposizione al governo.

In questo senso sembra che premano su Silvio Berlusconi sia la famiglia, preoccupata di un'impegnativa rifondazione del partito sia i consiglieri per così dire «aziendali». Tra gli azzurri, invece, la maggioranza è preoccupata (compresi big come Antonio Tajani, Mara Carfagna, Renato Brunetta, Anna Maria Bernini, Mariastella Gelmini) di accentuare l'identità di Fi, magari fare L'Altra Italia, per evitare assimilazioni con il Carroccio. È il leader che deve fare la scelta e ancora sembra indeciso. L'esito delle amministrative in Sardegna gli dà l'occasione di ribadire che «il centrodestra è l'unico modello vincente e ritenuto credibile dagli elettori e Fi si dimostra ancora il cuore del progetto», perché nell'isola senza gli azzurri l'alleanza non avrebbe vinto e qua e là hanno addirittura raggiunto e superato la Lega. Il Cavaliere è soddisfatto. «Abbiamo sfrattato la sinistra dalla maggioranza dei comuni italiani - dice -, archiviando una stagione di governi locali che non hanno saputo difendere gli interessi dei cittadini, e dimostrato che il progetto dei Cinquestelle è velleitario: la loro stagione politica può dirsi conclusa».

Ma che vuole fare del partito? «Il consiglio nazionale del 25 giugno - spiega un azzurro di rango - o sarà vero e segnerà la svolta o è meglio non farlo».

Al tradizionale pranzo ad Arcore del lunedì, con familiari e consiglieri più stretti, si discute delle prossime mosse, che saranno decisive. Il leader in settimana dovrebbe incontrare i suoi parlamentari, ma ancora deve scegliere tra vari impegni. Sta valutando se andare giovedì a Bruxelles, accanto al suo vice e presidente del Parlamento europeo Tajani, per un vertice del Ppe che farà il punto sulle nomine. E poi, gli piacerebbe partecipare oggi a Firenze ai funerali dell'amico Franco Zeffirelli, già senatore azzurro. Intanto, va alla presentazione a Milano del libro di Arrigo Sacchi e dice che le manovre di Giovanni Toti non lo preoccupano, perché «da sempre chi è uscito da Fi per fare un altro partito non ha avuto successo». Sulle ultime operazioni di Mediaset sui mercati di Spagna e Germania i figli l'hanno consultato e lui dice che è la strada giusta. «Oggi tutto è globale». Infine sullo scandalo delle toghe: «L'Italia non è una vera democrazia se la magistratura si sovrappone ai poteri dello Stato, come ho sempre denunciato».

In un quadro dialogante con Salvini, anche la sfida di Toti perderebbe il suo perché. Molti in Fi pensano che alla fine non arriverà alla scissione, formerà il suo movimento e ne farà la spina nel fianco del partito. Anche perché né Salvini né Giorgia Meloni sembrano aprirgli le porte. Il governatore ligure, in attesa della manifestazione del 6 luglio a Roma, pompa la sua forza, fa circolare sondaggi che lo danno a un potenziale 7% mentre il dato reale sarebbe 1-1 e mezzo, fa uscire allo scoperto i suoi come fosse un esodo di massa. «In realtà - spiega Giorgio Mulé - sono pochi amministratori locali e tra deputati e senatori, a parte i tre noti, nessun altro si schiera con lui. Non voglio pensare che chi predica il centrodestra unito, possa romperlo».

I tre sono i lombardi Claudio Pedrazzini, Alessandro Sorte e Stefano Benigni. Ma anche i consiglieri regionali laziali Antonello Aurigemma, Pasquale Ciacciarelli e Adriano Palozzi, che annunciano oggi l'adesione al gruppo di Toti, ripetono: «Non ci sarà alcuna uscita dal partito per ora».

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