Cultura e Spettacoli

L'anno d'oro dei Måneskin. Il nostro rock sbanca gli Ema

La band batte tutti e arriva sul tetto del mondo. Smentendo i pregiudizi sulla musica italiana

L'anno d'oro dei Måneskin. Il nostro rock sbanca gli Ema

Ora pure gli Europe Music Awards di Mtv. Ormai i Måneskin si sono abituati a vincere facile in quello che chiaramente è il loro anno d'oro. Ieri sera si sono portati a casa anche la vittoria nella categoria «Best Rock» alla fine dello show condotto ieri sera dalla rapper Saweetie alla Papp László Sportaréna di Budapest. In pratica, un'altra laurea all'università della musica.

A nessun artista italiano era mai capitato di vincere in una categoria storicamente concessa in usucapione a inglesi o americani. Non solo: nessun italiano era mai stato neanche candidato a giocarsi il primato in una categoria così lontana dalle nostre tradizioni. Tanti altri italiani erano stati chiamati a esibirsi (Ramazzotti, Jovanotti, Ligabue, Tiziano Ferro e Bocelli) ma nessuno era mai stato nominato, quasi a confermare che, vabbé, l'Italia è sempre stata musicalmente relegata al folklore e ai soliti cliché di 'O sole mio e del bel canto.

E invece stavolta è accaduto.

Era nell'aria, ma pochi osavano esserne sicuri. Tanto più che gli altri «nominati» nella stessa categoria erano nientemeno che Coldplay, Foo Fighters, Kings of Leon, Måneskin, Imagine Dragons e The Killers, praticamente tutti mostri sacri o quasi. Un successo che va ben oltre la statuetta e suggella l'esplosione di questa band arrivata pochi mesi fa al Festival di Sanremo senza molte speranze di vittoria e ora praticamente ben piantata in cima al mondo. Avevano tre nomination: best rock, best group e best italian act che poi è andato ad Aka7even, talento uscito dall'ultima edizione di Amici. E hanno preso quella più «pregiata», quella che accosta la categoria più difficile per gli italiani (il rock) con quella più ricercata dai discografici di tutto il mondo (new). Insomma, un filotto. E, per festeggiarlo, ieri sera in (quasi) mondovisione si sono esibiti sullo stesso palco di fuoriclasse come Ed Sheeran o Maluma, e lo hanno fatto a modo loro: fregandosene. Hanno suonato come se fossero al proprio show, dritti, efficaci, senza sbavature.

E questa vittoria ha pure un bel valore simbolico. Conquistando il Festival di Sanremo più difficile di sempre (senza pubblico, in piena pandemia) i Måneskin hanno simbolicamente risvegliato la voglia di vincere degli italiani. Pochi mesi dopo hanno preso il primo posto all'Eurovision Song Contest e, a stretto giro, volti italiani sono saliti in cima al podio nel calcio (gli Europei), alle Olimpiadi, alle Paralimpiadi e in tante altre specialità sportive. Sono vittorie che generano entusiasmo, e pure fiducia, nel paese più duramente mitragliato dal virus e chiaramente disorientato dalla crisi, dalle vittime, dalle incertezze istituzionali. In poche parole, è toccato a questi quattro ragazzi romani dare simbolicamente il «la» alla voglia di rinascere e di respirare di nuovo l'aria del successo che, a ogni livello, era drammaticamente rarefatta da anni.

E poi, diciamolo, i Måneskin sono anche una bella favola che si sgancia dai soliti luoghi comuni del successo frutto di favoritismi oppure peggio. Cinque anni fa suonavano in Via del Corso a Roma davanti a un cappello per raccogliere l'elemosina dei passanti per lo più indifferenti oppure spaventati da quattro rockettari scatenati a pochi passi dal Colosseo e da Trinità dei Mondi. Erano la perfetta immagine della band esordiente: senza soldi ma con molti sogni. Ed erano anche musicalmente traballanti nel senso che, beh, non erano certo maestri dei loro strumenti. Però poi hanno studiato, non si sono limitati a fare selfie o stories. E oggi eccoli qui. Hanno conquistato gli States, che sono sempre stati il miraggio del 99,9% degli artisti italiani (guardare i numeri su Spotify per capirlo). Hanno «aperto» il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas. Stanno occupando copertine e homepage in giro per il mondo, portandosi dietro una valigia di recensioni positive dei critici più autorevoli. E sono diventati finalmente uno dei nostri più credibili «prodotti da esportazione».

Trattandosi di rock, è un vero evento.

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