"L'anti Matteo sono io": Boldrini fa la questua per il suo candidato

La presidente della Camera non ha i numeri per fare eleggere il suo candidato, così si appella a "fare fronte comune contro Renzi"

"L'anti Matteo sono io": Boldrini fa la questua per il suo candidato

Se mancano i numeri, non resta che appellarsi a «fare fronte comune contro Renzi». Laura Boldrini deve aver capito che le sue chance di essere candidata al Quirinale con l'appoggio del premier sono prossime, se non inferiori, allo zero. E così, alle prese con la nomina del nuovo segretario generale di Montecitorio, il vero boss della Camera, da alcuni giorni la terza carica dello Stato mette mano al cellulare e fa questo discorsetto concitato a presidenti dei gruppi ed esponenti politici di Montecitorio.

Negli scorsi giorni in molti, da Giorgia Meloni a Nunzia De Girolamo fino a Renato Brunetta, hanno ricevuto una chiamata dalla Boldrini, con annesso invito a «far fronte» contro il premier. Oggetto delle affannose e ripetute pressioni telefoniche della presidente, la nomina di un candidato a lei gradito. Boldrini in quel ruolo vuole l'uomo che vuole anche il suo mentore, il segretario uscente Ugo Zampetti. Il quale lascerà l'incarico dal primo gennaio e vuole che la successione sia assicurata da qualcuno di cui lui si possa fidare. E che non scombini gli equilibri pazientemente costruiti dal longevo segretario generale nei suoi 15 anni a Montecitorio. Il candidato di Zampetti e Boldrini è Fabrizio Castaldi, guarda caso capo della segreteria della Presidente e fidatissimo zampettiano. Il problema è che Castaldi su quella poltrona lo vogliono solo loro, a parte l'appoggio di Sel, dei casiniani e dell'ala Franceschini del Pd. Tutti gli altri puntano, in nome del rinnovamento, su Giacomo Lasorella, capo del servizio Assemblea e stimato funzionario. In mancanza di un accordo, finora, dall'ufficio di presidenza sono arrivate solo fumate nere. Con due sole «novità» già certe per il futuro segretario generale. La reintroduzione del termine - sette anni non rinnovabili e non prorogabili - per il mandato, che era stato abolito undici anni fa quando primo inquilino di Montecitorio era Pier Ferdinando Casini. E una vistosa riduzione allo stipendio, sceso con i tagli di settembre dal mezzo milione e più di euro l'anno incassato da Zampetti ai 240mila euro più indennità di funzione che spetteranno al nuovo dirigente.

Quanto al nome, però, una convergenza è necessaria per arrivare alla nomina nella prossima seduta, fissata per le 15 del 7 gennaio del nuovo anno. Tocca alla Boldrini proporre un candidato alla successione, ma la scelta passa per il voto dell'ufficio di presidenza - composto dalla presidente e da 20 deputati - dove il Pd con otto membri fa la parte del leone. Del plotoncino dem, oltre al vicepresidente Marina Sereni, potrebbero votare per Castaldi altri 2 o 3 deputati. A cui aggiungere gli altri 2 o 3 voti in quota Udc e Sel. Comunque non abbastanza per raggiungere la maggioranza e incoronare l'uomo «sponsorizzato» dalla presidente. E così nell'impasse, per rompere il fronte e portar voti dalla sua parte, la Boldrini (consigliata da Zampetti) ha scelto una strategia spregiudicata, mettendo in giro la voce che il povero Lasorella sia renziano, con l'obiettivo di bruciarlo agli occhi degli avversari del premier.

Qualcuno, nell'ambiente della presidenza, si sarebbe persino spinto ad azzardare una presenza di Lasorella alla Leopolda. Peccato che non tutti ci caschino.

Brunetta, per esempio, al mantra telefonico della Boldrini ha replicato così: «Cara presidente, sono più antirenziano di te. E non mi risulta affatto che Lasorella sia sponsorizzato dal premier. Sarebbe un ottimo segretario generale».

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