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Larghe intese solo per finta: Conte ormai è un ostacolo

Giuseppi vuole usare la crisi come palcoscenico ma infila troppi errori. E lo scarica pure il partito del Pil

Larghe intese solo per finta: Conte ormai è un ostacolo

Larghe intese contro il virus, ma solo di facciata. L'incontro di ieri tra il premier e i leader del centrodestra ha ribadito i limiti della collaborazione tra maggioranza e opposizione, impallata da un presidente del Consiglio convinto che la crisi sia un'occasione per laurearsi grande leader e per questo determinato a gestirla da solo. A mostrarlo plasticamente, nel clima di dialogo sereno che si respirava al vertice, è stato l'irrigidimento di Conte quando Giorgia Meloni ha chiesto di adottare un «super commissario» sul modello dell'Aquila. Il premier è saltato su come se gli avessero chiesto di alzarsi dalla poltrona: «E quali poteri dovrebbe avere questo super commissario?», ha chiesto improvvisamente irrigidito.

La battaglia al coronavirus è sfidante e lo sarebbe per chiunque, ma Giuseppe Conte procede di errore in errore, trasformandosi, sempre più, da soluzione a ostacolo. Non è un caso che nei palazzi romani la «soluzione Draghi» sia ormai un tema di pubblico dibattito. Conte è apparso indeciso a tutto anche ieri, quando i leader del centrodestra hanno rilanciato l'ipotesi di un blocco totale del Paese come arma decisiva per arginare la malattia e abbreviare lo stillicidio di blocchi parziali che hanno comunque paralizzato l'economia, le cui prospettive ieri erano descritte dall'Ufficio parlamentare di bilancio con espressioni apocalittiche.

Arrivato in ritardo all'incontro, si è scusato dicendo che era «impegnato sulle Faq», le «domande frequenti» per chiarire i dubbi sul Dpcm, subito chiosata da una frecciata della Meloni: «Allora sarà stato un lavoro lungo». L'opposizione ha infatti molto insistito sulla confusione che ancora regna intorno alle misure annunciate lunedì sera riuscendo a inanellare un altro pasticcio comunicativo, dopo il caos di sabato sera con la fuga di notizia sulla bozza del decreto. Da giorni si discute se i giornalisti abbiano fatto bene a pubblicare le bozze, ma la verità è che sulla gestione Conte pesa non solo l'aver permesso la fuga di notizia, ma anche essersi presentato in tv a chiarire la situazione solo sei ore dopo, a notte fonda, quando già i treni da Nord a Sud erano stati presi d'assalto. Caos che si è ripetuto lunedì sera, quando Conte ha annunciato le misure dimenticandosi di specificare parecchi dettagli, tra cui il fatto che uscire a fare la spesa non sarebbe stato un problema. Risultato? Lunghe code ai supermercati aperti di sera, con affollamento che aumenta il rischio contagio.

Tutti tengono i toni bassi per rispettare l'autodisciplina richiesta anche alle opposizioni in un momento così delicato. Ma nessuno si nasconde che il ruolo di Conte, la cui figura è diventata decisiva nel ribaltone che ha portato al governo giallorosso, è ora diventata sempre più ingombrante.

Paralizzato dalle controversie tra i governatori, incapace di mettere in riga ministri latitanti come il grillino Bonafede che si sta lasciando esplodere in mano il nodo carceri e Spadafora con le sue giravolte sullo stop alla Serie A, impacciato nelle comunicazioni. E, soprattutto, troppo lento nel decidere. Circostanza che allarma il «partito del Pil», come ha mostrato la sortita scopertamente critica di Urbano Cairo sul Foglio: «Il virus è veloce, le decisioni invece pericolosamente lente». Chi è in grado di correre di più? Sul Sole24Ore ieri si è espresso Carlo Cottarelli parlando della necessità di un piano da 35 miliardi.

Tanto per dire di uno che le scale del Quirinale le ha già salite in un altro momento di crisi.

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