Contare i proiettili, economizzare i colpi di artiglieria, le bombe, i razzi. Levare dalle spalle del soldato russo una preziosa coperta protettiva che non è mai mancata, sin dai tempi della controffensiva della Seconda guerra mondiale, determinante in Cecenia come in Siria. Se la precisione - così ricercata dalla dottrina Putin che aveva puntato sui pochissimi seppur efficacissimi missili ipersonici - non è mai stata una caratteristica saliente della strategia sovietica (prima) e russa (dopo) il fuoco di saturazione è sempre stato una costante, una panacea. Quello che ha consentito la lenta avanzata proseguita sino ad agosto, dopo che la resistenza Ucraina aveva cancellato ogni velleità di guerra lampo. Ma ora con la logistica russa ridotta a lumicino e con le fabbriche del Paese che, anche grazie alle tanto sottovalutate sanzioni, hanno carenza di tutti i prodotti ad alta tecnologia, la coperta, Mosca, ha dovuto levarla.
I segnali di questo drastico cambio di prospettive sono sotto gli occhi degli analisti ormai da settimane. Ieri li ha sintetizzati sir Jeremy Fleming, capo d'una delle agenzie d'intelligence britanniche (la Gchq, analoga all'americana Nsa, che si occupa di spionaggio e controspionaggio informatico). Fleming intervenendo alla conferenza annuale sulla sicurezza del Royal United Services Institute ha anticipato di ritenere che i costi della guerra per la Russia - sia in termini di persone sia di attrezzature - siano «sconcertanti», dato che le prime conquiste sono state annullate da Kiev, che sta ribaltando la situazione contro le «esauste» forze russe.
«Sappiamo, e lo sanno anche i comandanti russi sul campo, che i loro rifornimenti e le loro munizioni si stanno esaurendo». Sin qui la valutazione strettamente militare. Riferendosi poi a Putin, Fleming ha sottolineato che, «data la poca dialettica interna, il suo processo decisionale si è rivelato imperfetto. È una strategia con un'alta posta in gioco che sta portando a errori strategici di valutazione». Fatto che secondo lui è ormai sotto gli occhi del popolo russo, come dimostrano fughe e diserzioni. Senza addentrarsi nello spazio politico, dove le considerazioni sono più aleatorie, il dato materiale che arriva dal campo di battaglia è abbastanza chiaro. Ad esempio l'Istituto Iseas-Yusof Ishak di Singapore, che ha monitorato con attenzione gli attacchi a lungo raggio russi ha sottolineato che ormai il ricorso a missili di precisione è residuale. Si ricorre per lo più a vecchie armi con attacchi pensati per lo più per avere effetti di «moral bombing» sui civili.
Ma la situazione è molto simile anche per il fronte vero e proprio. Mosca avrebbe «bruciato» dalle 40 alle 60mila munizioni di tutti i tipi al giorno durante le operazioni di combattimento ad alta intensità, per scendere a circa 24mila nei giorni di stasi. Numeri enormi, che richiedono una produzione bellica a pieno regime. A questo va aggiunto che i sistemi ad alta precisione forniti agli ucraini dall'Occidente, hanno fatto strage dei depositi di munizioni russe. Nel periodo pre bellico la Russia produceva circa 1,7 milioni di proiettili l'anno. Un quantitativo tutt'altro che in grado di sostenere il ritmo del conflitto. La scelta palliativa è stata quella di acquistare munizioni e droni da Iran e Corea, Paesi che tradizionalmente andavano a ruota delle forniture made in Russia. Zelensky al G7 ha svelato che Putin avrebbe ordinato altri 2.400 droni kamikaze a Teheran, dopo i mille già distrutti da Kiev.
Un paradosso. Ma non è il solo. In molte zone di frettolosa ritirata russa sono finiti in mano ucraina mezzi e materiali perfettamente utilizzabili. Qualche analista ha stimato che gli ucraini hanno ricevuto quasi più mezzi, sebbene di qualità discutibile, dai russi che dall'Occidente. Mezzi che spesso senza levare le famose «Z» sono stati muniti di transponder occidentali per essere riconosciuti dal fuoco amico e gettare nel caos gli occupanti. Ovviamente come in ogni guerra i problemi non stanno da una parte sola.
Anche l'Occidente inizia a fare i conti con le scorte che si svuotano e la necessità di alzare la produzione. Lo ha esplicitamente chiesto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. La differenza è che l'Occidente è in grado di farlo.
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