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L'artista-bersaglio per quel Profeta "cane randagio"

Vilks: "Ho girato molto, ho avuto tanti incidenti, ormai sono abituato"

L'artista-bersaglio per quel Profeta "cane randagio"

La jihad non dimentica e non perdona. Soprattutto i vignettisti che hanno osato fare satira con i loro disegni sul profeta Maometto. L'attacco di ieri a Copenaghen, durante un dibattito in cui si discuteva di islam e blasfemia, aveva con ogni probabilità come obiettivo principale Lars Vilks, l'artista svedese salito alla ribalta soprattutto per il caos scatenato nel 2007 dalla pubblicazione, sulla rivista Nerikes Allehanda e su altri giornali, di alcune vignette in cui Maometto era rappresentato come una cane randagio.

Vilks era da tempo nel mirino degli jihadisti. Nel dicembre 2010, dopo che un kamikaze si fece esplodere nel centro di Stoccolma, uccidendo una persona e ferendone due, si scoprì che in un messaggio prima di farsi saltare in aria, Taimour Al Abdaly aveva accennato al vignettista. Poco prima dell'esplosione, alle agenzie di stampa svedesi era arrivato un messaggio che minacciava attacchi. «I nostri atti parleranno da soli», recitava il messaggio. «Adesso i tuoi figli, le tue figlie e le tue sorelle moriranno come sta accadendo ai nostri fratelli, alle nostre sorelle e ai nostri bambini»; e le azioni punitive proseguiranno «fino a che non si fermi la guerra contro l'islam, la delegittimazione del Profeta e il tuo stupido appoggio al porco Vilks». Il vignettista non aveva nascosto di essere un costante bersaglio dei terroristi: «Ho girato molto dal 2007, ho avuto molte minacce e incidenti, mi sono abituato».

Vilks non è il più noto dei vignettisti che hanno dileggiato il Profeta, ma gli integralisti islamici, evidentemente, hanno preparato con cura la loro lista nera senza dimenticare nessuno. A cominciare da chi lavorava alla rivista francese Charlie Hebdo . Non possiamo certo dimenticare la strage di Parigi del 7 gennaio scorso, quando due terroristi islamici, i fratelli Said e Cherif Kouachi, hanno fatto irruzione nella sede del giornale armati di kalashnikov e hanno ucciso dodici persone. Tra di loro vi erano anche i quattro vignettisti di punta del settimanale, il direttore Stephane Charbonnier, Jean Cabut, Georges Wolinski e Bernard Verlhac.

Ma le minacce erano partite da lontano, da quel fatidico 2006, quando Charlie Hebdo mise in prima pagina una caricatura di Maometto. La redazione del giornale aveva già subito un attentato nel novembre del 2011 e gli uffici erano stati distrutti dalle bombe molotov.

D'altronde, era comprensibile già dal 2005, quando il quotidiano danese Jylland Posten pubblicò per primo la famosa vignetta sul Profeta, quale sarebbe stata la reazione del mondo islamico. Ci fu una ondata di violenze e di proteste in tutti i Paesi musulmani con minacce dirette ai cittadini danesi, ma anche norvegesi e francesi. In quell'occasione tutti rivendicarono il diritto alla satira e alla libertà d'espressione. Ma, poi, dopo le pressioni politiche dei Paesi musulmani e le continue minacce dei fondamentalisti, ci fu una correzione di tiro. Il governo danese diffuse una lettera di condanna contro «tutte le azioni volte a demonizzare alcuni gruppi in virtù del credo e dell'appartenenza etnica». E, poco dopo, tutti i direttori si scusarono con il mondo islamico per l'offesa recata. Negli ultimi anni la polizia danese ha sventato diversi attentati contro la redazione del Jylland Posten e Kurt Westergaard, autore della famigerata vignetta che ritraeva Maometto con un turbante-bomba, è sopravvissuto per miracolo a un attacco nel 2010, quando un jihadista somalo è riuscito a introdursi nella sua casa per ucciderlo. Westergaard oggi ha 79 anni e vive sotto costante scorta della polizia. «Ora sono lontano dal mondo dei media - ha spiegato il vignettista, che non lavora più al Jylland Posten -. Ma continuo a credere che non si debba tacere, mai. L'autocensura mi spaventa, anche perché riguardo all'islam è già in atto da anni - ha sottolineato in un'intervista all'indomani della strage di Parigi -.

La satira è un segno fondamentale della democrazia».

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