Cronaca giudiziaria

L'assist della Procura per scarcerare Dimitri, il femminicida "obeso"

Decisiva l'"infermità fisica grave". Ma i dolci possono essere vietati e il fumo anche. La legale: vita a rischio

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Perché Alfredo Cospito no e Dimitri Fricano sì? Un bombarolo anarchico che stava digiunando fino a rischiare la morte, un femminicida che la vita la rischia a furia di mangiare. Ma il primo è rimasto al carcere duro, il secondo è a casa da qualche giorno per motivi di salute. La scarcerazione di Fricano ha sollevato un mare di polemiche. E il paragone con Cospito è sorto spontaneo, per il semplice motivo che entrambi i malanni per cui i due hanno chiesto di lasciare la cella sono conseguenze di loro scelte. Così i giudici decisero di tenere in cella l'anarchico, parlando di «patologia autoinflitta». Se esce Cospito, fu un po' il ragionamento, qualunque altro detenuto potrà seguire il suo esempio.

Perché allora Fricano ha potuto tornare a casa, grazie alla decisione del Tribunale di sorveglianza di Torino, su parere favorevole (dettaglio non irrilevante) anche della Procura? Per capirlo bisogna addentrarsi nei meandri della legge sull'Ordinamento penitenziario, che all'articolo 47 ter stabilisce il diritto a differire l'esecuzione della pena di «chi si trova in condizioni di grave infermità fisica». In questi casi scatta la detenzione domiciliare, durante il quale la pena continua a essere scontata. Se l'infermità cessa, si torna in carcere.

Il problema è che la formula usata dal codice, «grave infermità fisica» è talmente vaga da venire interpretata con manica più o meno larga dai diversi tribunali. Così accade che detenuti in condizioni quasi estreme vengano tenuti in cella, e a volte ci muoiano, e che il differimento venga invece concesso a condannati malconci ma non troppo. Nel caso di Fricano, il quadro clinico era sicuramente preoccupante, a partire dal peso che aveva raggiunto i duecento chili e lo rendeva incapace di muoversi e di lavarsi da solo. Aveva sfondato le reti del letto e per un periodo il materasso era rimasto appoggiato sul pavimento.

«Peggio per lui», «impari a mangiare meno»: commenti crudeli ma inevitabili, ai quali si aggiunge il ricordo della crudeltà con cui l'uomo nel 2017 uccise la sua fidanzata al culmine di un banale litigio. La realtà, dice al Giornale il difensore Alessandra Guarini, è che «la decisione del tribunale non toglie nulla alla gravità del crimine orrendo di cui Fricano è reo confesso. Si prende solo atto che Fricano non è grasso perché gli piace mangiare, la sua obesità è la conseguenza di una patologia che si porta dietro sin da ragazzo, e che oggi è totalmente incompatibile con la vita carceraria. In carcere Fricano è a rischio di sopravvivenza».

Alcuni degli argomenti con cui i giudici hanno sostenuto la incompatibilità del 35enne con la vita carceraria possono sembrare discutibili: è vero che in prigione non sono disponibili diete light, ma Fricano si abbuffa in modo compulsivo anche di dolciumi comprati allo spaccio interno (il famoso «sopravvitto»), che gli potrebbero agevolmente venire tolti; fuma in modo compulsivo, e in carcere sarebbe teoricamente vietato; incontra barriere architettoniche insormontabili, ma anche questo forse sarebbe risolvibile spostandolo di carcere.

Ma il dato cruciale che ha convinto i giudici è che, aldilà dei singoli problemi, è che Fricano non è autosufficiente. Per farlo uscire però hanno dovuto superare un altro scoglio non da poco: ritenere che non sia pericoloso socialmente, che non rischi di tornare a delinquere. È questo, davanti al delitto brutale e immotivato che ha commesso, che colpisce nella decisione.

A meno che non sia il peso stesso dell'uomo, secondo il tribunale, a impedirgli di uccidere ancora.

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