Milano - Anche se il premier Gentiloni cerca di tranquillizzare gli italiani («Non risultano particolari reti che Amri avesse in Italia») emergono legami col Lazio dopo le perquisizioni della Digos a Campo Verde (Latina). Gli accertamenti del pm Francesco Scavo hanno già consentito di stabilire che il terrorista nel 2015 era stato ospite in entrambe le case e ora dall'esame del materiale, alcuni documenti in arabo, e dai telefoni cellulari sequestrati potrebbero emergere nuovi elementi. Nelle due abitazioni risiedono due sorelle italiane, entrambe sposate con due tunisini. Uno di questi è detenuto a Velletri per droga.
La polizia lavora per ricostruire i movimenti e le intenzioni del terrorista dopo l'arrivo in Italia, nel tardo pomeriggio del 22 dicembre. Ieri emergono due dettagli che sembrano confermare che la destinazione del fuggiasco fosse il Centro o il Sud: le telecamere della stazione di Torino lo ritraggono mentre cerca sulla biglietteria elettronica l'orario di un treno per Roma, prima di ripensarci e comprare il biglietto per Milano; e nel capoluogo lombardo la Digos scova un testimone, per ora l'ultimo ad avere parlato con Amri prima della sua morte: è un salvadoregno che lo incontra alle due di notte in piazza Argentina. «Dove si prendono i treni per Roma o per Napoli?» «Alla stazione Centrale», «Ma vengo da lì, non ce ne sono più». Ha fretta, Amri, di raggiungere una destinazione precisa. Resta da capire quale.
E il suo nome rimarrà negli annali del terrorismo anche come protagonista di una performance imbarazzante degli apparati di sicurezza tedeschi. Che prima hanno sottovalutato la sua pericolosità, classificandolo - nonostante segnalazioni inequivocabili dei suoi legami con l'Isis - al «livello 5», cioè «basso rischio»; e dopo la strage hanno inanellato errori uno dopo l'altro, arrestando come autore dell'attentato un pakistano del tutto estraneo alla vicenda, e fermando poi come complice di Amri un tunisino che ieri è stato rilasciato con tante scuse. Per non parlare del fatto che della lunga fuga di Amri dopo la strage l'unico tratto non ancora ricostruito è proprio quello in terra tedesca, da Berlino a Nijmegen, appena oltre il confine olandese. Mentre le polizie di tutta Europa individuano il passaggio del jihadista nelle stazioni ferroviarie delle loro città, i tedeschi ancora non sanno - almeno ufficialmente - come Amri si sia allontanato dalla capitale dopo avere lanciato il Tir sulla folla, né come abbia coperto gli oltre seicento chilometri fino a Nijmegen.
Le falle della Sicherheit vengono a galla ieri, quando lo Spiegel rivela che la Bnd, il servizio segreto federale, era al corrente che Amri aveva fatto ricerche su come realizzare una bomba, e si era messo a disposizione di reti legate all'Isis per compiere attentati suicidi; altrettanto noti erano i suoi otto alias, con uno dei quali - Ahmad Zaghoul - aveva aggredito un funzionario dell'ufficio immigrazione, mentre con altri aveva ottenuto illegalmente sussidi sociali; ed era noto che aveva frequentato la moschea di Dortmund ed era stato indottrinato da Boban Simeonovic, braccio destro dell'imam iracheno Abu Al Walaa, oggi in carcere per terrorismo.
Si scopre anche che da febbraio a settembre era stato pedinato perché sospettato di avere preparato un attentato, e che i controlli erano stati sospesi per insufficienza di indizi, nonostante Amri avesse dimostrato, secondo un rapporto citato dallo Spiegel, una «esperienza del funzionamento della polizia e della cospirazione» inconsuete anche per un islamista radicale.
Sono parole che sembrano confermare quanto raccontato dal nipote di Amri alla polizia tunisina, secondo cui lo zio era diventato un «emiro». A novembre, un mese prima della strage, i servizi tedeschi perdono le sue tracce.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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