È finita per essere la giornata dell'attesa. Non solo a Palazzo Chigi, ma anche tra i leader di partito. Che, come è inevitabile che sia a poco più di 48 ore dal primo voto per eleggere il nuovo capo dello Stato, sono in frenetica agitazione. Tutti parlano con tutti, chi può - come Enrico Letta e Matteo Renzi - s'incontra faccia a faccia. Mettendo da parte anche le vecchie ruggini. Un po' come accaduto giovedì a Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Anzi, proprio il leader della Lega, ieri ha colto l'occasione per un altro incontro che mancava da tempo, forse poco quirinalizio ma comunque importante. Ieri, infatti, il leader della Lega è stato avvistato in quel di Gemonio dove ha fatto visita a Umberto Bossi.
L'attesa è soprattutto quella di Mario Draghi, alla finestra aspettando che Silvio Berlusconi faccia la sua mossa. Se il leader di Forza Italia dovesse chiamarsi fuori dalla corsa, infatti, l'ex numero della Bce coltiva la speranza che possa essere proprio lui a «lanciare» il suo nome per il Quirinale. A quel punto, per Draghi la strada sarebbe tutta in discesa. Perché nessuno - nonostante i dubbi di Salvini o quelli di Conte - si può permettere di non appoggiare la candidatura di quello che è indubbiamente l'italiano più stimato e autorevole all'estero. Il tempo, però, stringe. Perché la prima votazione è lunedì e i margini per disegnare un eventuale governo dopo Draghi iniziano ad essere strettissimi. Oggi ci sarà il vertice del centrodestra tra Berlusconi, Salvini e Giorgia Meloni. E il quadro potrebbe finalmente chiarirsi, anche se non tutti lo danno per scontato. Anche per questo nell'entourage di Draghi non hanno ben chiaro se sia meglio entrare in gioco nelle prime tre votazioni (con quorum a 673 voti su 1.009 grandi elettori) o dalla quarta in poi (quorum a 505). Tutto dipenderà da cosa accadrà oggi. Ma l'auspicio è di riuscire a chiudere per il secondo scrutinio, previsto martedì.
Nel frattempo, continua la trattativa sull'esecutivo che verrà nel caso Draghi salisse al Colle. Ieri, in Consiglio dei ministri, il premier ha parlato di «imminenti emergenze da affrontare», auspicando «una continuità di governo». Parole che molti dei presenti - compresi i ministri Giancarlo Giorgetti e Andrea Orlando, che si sono poi appartati a parlare con Draghi - hanno interpretato come un invito a ragionare su un esecutivo con modifiche minime.
Non proprio un'operazione semplice. Intanto perché c'è da sciogliere il nodo del premier. E le opzioni in campo - da Vittorio Colao a Marta Cartabia - non sono figure propriamente forti. Senza considerare il fatto che, per la prima volta, il Paese si ritroverebbe con due tecnici ai massimi vertici delle istituzioni. Ma il punto è il braccio di ferro tra la Lega e il Pd, perché se nella compagine governativa dem è difficile mettere mano senza far esplodere i delicati equilibri che tengono insieme il Pd, completamente diverso è il discorso per quanto riguarda il Carroccio. Già un anno fa, infatti, Salvini fu costretto a «subire» i ministri leghisti, decisi da Draghi con buona pace dei nomi che il leader del Carroccio gli aveva fatto avere. Legittimo, insomma, che oggi Salvini chieda di rientrare in gioco. Magari non al Viminale come vorrebbe, poltrona che il Pd non potrebbe concedergli neanche volendo.
Ma in un altro ministero di peso, come Infrastrutture o Agricoltura.Insomma, un puzzle difficile. Anche perché inserendo Salvini nello schema diventerebbe più complicato seguire la via dei piccoli ritocchi auspicata da Draghi.
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