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Lavoro dimenticato nell'Italia che emigra

Lavoro dimenticato nell'Italia che emigra

Londra è la quinta città italiana, con almeno 250mila persone. Molti vanno lì, come se fosse un faro, una speranza, un posto dove scommettere sul proprio futuro. Ora con la Brexit si complica tutto. Ci saranno altre mete, altri luoghi da raggiungere. Quello che non si arresta, anzi cresce di anno in anno, è l'esodo. Londra è l'approdo preferito, ma la grande fuga non ha confini. Si va in Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda. Si parla di 800mila emigranti negli ultimi dieci anni. Nel 2018, secondo l'Istat, sono stati 117mila, quasi il 2% in più rispetto al 2017. Due su tre hanno tra i 20 e i 49 anni. Il resto è appena maggiorenne. Il 53% ha un diploma o una laurea. L'Italia ormai esporta capitale umano a ritmo costante. Il dato in controtendenza è un altro: ne arrivano di meno e non accadeva da decenni. Il flusso di immigrati è diminuito del 3,2%.

I numeri non dicono tutto. Non raccontano storie, sentimenti, frustrazioni e scelte di vita. Ti fanno però capire che questo è un Paese a speranza zero. Non ce ne è più. Non c'è lavoro, non ci sono opportunità, tutto è fermo, stagnante, con un orizzonte così ristretto che i più coraggiosi, i più intraprendenti, chiudono gli occhi e scappano via. È un posto di passaggio, dove perfino chi arriva, sfidando il mare e la morte, non pensa davvero di restarci a lungo, di mettere su casa, ma lo vede come un punto di ripartenza. Gli italiani, soprattutto i giovani, se ne vanno e gli stranieri considerano questa Penisola come una tappa di un viaggio più lungo. Qualcuno dirà: meno male. La realtà è che perfino il rallentamento dell'immigrazione è il sintomo di una malattia sempre più profonda. L'Italia, da qualsiasi parte la guardi, è una terra senza lavoro e senza futuro. Forse è il caso di cominciare a farci i conti sul serio. Invece non se ne parla. Si dice che il problema c'è, ma poi al centro del discorso politico c'è sempre qualcosa di più viscerale, di più immediato, di più urgente.

Strano, vero? Il fatto che l'Italia sia un posto da cui scappare non fa sangue. Non ci si accapiglia. Non è questione che fa fremere i social. Non lo trovi nei punti caldi dell'agenda di governo. Non è il cuore della manovra economica. Non porta in piazza l'opposizione. Non finisce nelle pretese delle «sardine». Non è in lista. Eppure, pensateci, non è strano e incredibile tornare a vedere la valigia dell'emigrante? Non sarà più di cartone, ma il senso è lo stesso. Si va via perché qui non c'è quello che serve. Viene in mente una vecchia canzone di Enzo Jannacci del 1979: Io e te. «Sì perché, la bellezza dei vent'anni è poter non dare retta a chi pretende di spiegarti l'avvenire, e poi il lavoro e poi l'amore. Sì ma qui che l'amore si fa in tre, che lavoro non ce n'è l'avvenire è un buco nero in fondo al dramma».

Non è solo il lavoro, quello vecchio, antico, da posto fisso. Quello nessuno se lo aspetta più. È che in questo dannato Paese ogni mossa sembra sbagliata. Studi? Prendi una laurea? Fai un master? Ti specializzi? Niente. Spesso ti ritrovi con stipendi da stagista. Scommetti, fai impresa, ti lanci in avventure innovative? Lo Stato finirà per succhiarti il sangue, dopo averti incaprettato in mille fili di burocrazia. Questo è un posto dove fare l'artigiano è da Don Chisciotte e aprire un negozio una sorta di scommessa al buio. Pessimismo? Retorica? Provateci. Tutti, di qualsiasi partito, vi diranno che vedono chiaramente il problema. Solo che poi non succede nulla. Stesse tasse, stessa burocrazia, niente lavoro. Al massimo ti fanno la carità con il reddito di cittadinanza.

No, grazie.

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