Lavoro, manca solo l'ok di Renzi I numeri per la riforma ci sono

Oltre le schermaglie, si lavora alle convergenze Pd-Forza Italia su nuovo statuto e superamento dell'articolo 18. Anche la sinistra democrat apre. Ncd all'angolo

N el difficile autunno che si prepara, Matteo Renzi sa bene che uno degli snodi più delicati sarà l'approvazione del Jobs Act , il ddl di delega al governo sulle disposizioni in materia di ammortizzatori sociali e lavoro. E che include la riscrittura dello Statuto dei lavoratori, articolo 18 compreso.

«Se sulla riforma del Senato un gruppetto di senatori “dissidenti” del Pd è riuscito ad armare tutto quel cinema, vedrete cosa succederà con gli ex cgiellini e la sinistra Pd sul Jobs Act», prevedeva la settimana scorsa il renziano Paolo Gentiloni. Ed è bastata la battaglia di puro posizionamento degli alfaniani di Ncd sull'articolo 18, in pieno agosto, per dare un assaggio dello scontro culturale che potrebbe scuotere governo e Pd in autunno.

La polemica agostana innescata dalle ansie di visibilità del ministro dell'Interno ha irritato non poco il premier, che ieri da Termini Imerese ha nuovamente bacchettato Alfano: «Questo dibattito sull'articolo 18 è un totem ideologico, un chiacchiericcio inutile e io non sono interessato ad alimentarlo. A me interessa alimentare i posti di lavoro». E Renzi ha messo in guardia gli estremisti di entrambe le fazioni: «Se dobbiamo fare un'operazione sul mercato del lavoro, io sono sempre pronto a scrivere nuove regole, ma con l'obiettivo di cambiare le garanzie, non eliminarle: è una cosa un po' diversa».

Sulla carta, ci sono i numeri per una maggioranza riformista che modifichi radicalmente quel «totem ideologico», come Renzi ha liquidato l'articolo 18. Oltre alla maggioranza renziana del Pd e ad una parte dei sindacati, Cisl in testa, c'è la disponibilità di Forza Italia a collaborare ad una modernizzazione delle regole del lavoro che è da sempre nei suoi programmi; ci sono i parlamentari di Ncd e quelli di Scelta civica. «Sulla riforma del mercato del Lavoro Matteo Renzi sta cercando di sminare l'articolo 18 introducendo il nuovo contratto a tutele crescenti - osserva Linda Lanzillotta - ma già incontra nel suo partito molte difficoltà, come ha potuto constatare anche Pietro Ichino che del Jobs Act è uno dei padri».

In Parlamento, alcune postazioni cruciali sono presidiate da parlamentari della sinistra Pd molto legati alla Cgil: alla guida della commissione Lavoro della Camera c'è Cesare Damiano, e la maggioranza dei membri Pd è di formazione bersananiana e laburista; alla guida della Commissione Industria c'è Guglielmo Epifani; Stefano Fassina già avverte premier e maggioranza, invitandoli non seguire le indicazioni della Bce di Draghi: «Piegarsi a attuare come un tecnocrate la fallimentare agenda europea con la cancellazione dell'articolo 18 e 16 miliardi di tagli al welfare vorrebbe dire condannare l'Italia alla stagnazione e al default del debito pubblico. Serve, al contrario, una manovra espansiva, oltre a riforme declinate senza subalternità». Parole che suonano come un preannuncio di battaglia. E però ieri Cesare Damiano, pur assicurando che «l'articolo 18 non verrà cambiato, e lo sa pure Alfano, che ha solo fatto una sceneggiata per piantare una bandierina», ha aperto alla proposta di «moratoria» delle tutele per i nuovi assunti avanzata anche dal forzista Brunetta, che «può rappresentare un interessante punto di confronto per la discussione». Qualcosa insomma si muove, come nota anche il sociologo del lavoro Michele Tiraboschi, allievo di Marco Biagi, intervistato da Formiche.

net : «La riforma dell'articolo 18 va oggi presa per quello che è: un feticcio, certamente da superare» per sancire «una liberazione culturale del lavoro da veti e ideologie del passato. Insomma, una prova di forza tra la politica e il potere di veto del sindacato che Renzi pare in realtà aver già vinto senza colpo ferire».

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