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L'azienda Italia spera nella clemenza di S&P Ma è già troppo tardi

La risalita dello spread a quota 260 riflette una bocciatura di fatto. La bomba del debito

Più che la pericolante economia italiana pesò il Pil statunitense. Ecco perché ieri, alla vigilia del verdetto di S&P sul debito pubblico dell'Italia, lo spread con i Bund tedeschi decennali si è contratto a quota 260 (rendimento del 2,59%), dieci punti sotto la chiusura della vigilia.

In apertura il Btp decennale era volato a quota 275,7 punti dall'omologo germanico aggiornando i massimi da febbraio, mantenendosi tutta la giornata nel range 265-270 punti, poi le notizie confortanti provenienti da Oltreoceano hanno determinato un leggero ribasso dei rendimenti. Va anche detto che l'incremento dello spread registrato dalla metà di marzo (precedentemente in area 230-240) ha in qualche parte anticipato una possibile valutazione negativa da parte di S&P.

Il taglio delle stime di crescita 2019 da +0,7% a +0,1% da parte dell'agenzia di rating statunitense avevano già fatto presagire un giudizio poco lusinghiero sul nostro Paese. La questione, infatti, non è il mantenimento dell'investment grade che consente alle banche italiane di portare i titoli del debito pubblico come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento Bce. Anche un eventuale downgrade da «BBB» a «BBB-» consentirebbe all'Italia di restare un gradino sopra il livello spazzatura che determina l'automatica espulsione dei Btp dai portafogli degli investitori istituzionali, assicurazioni in primis. La questione vera è il management di un debito pubblico che, se tutto va bene, quest'anno si attesterà al 132,6% del Pil a fronte di una crescita molto modesta.

Va detto che, per quanto sgradevoli all'opinione pubblica, le parole del ministro dell'Economia Tria sul Def relativamente all'incorporazione degli aumenti Iva in assenza di «misure alternative» rassicura i mercati circa la volontà di non produrre troppo deficit (senza copertura delle clausole di salvaguardia nel 2020 sfonderebbe il 3% del Pil). Chiaramente una bocciatura di S&P determinerà ripercussioni negative, ma ciò cui guardano i mercati non si esaurisce con la pagella proveniente da New York. In primo luogo, l'asta da 3 miliardi di Btp decennali (più 2 miliardi di quinquennali) in calendario mercoledì preoccupa allo stesso modo gli operatori. Un flop metterebbe pressione a tutte le scadenze del debito pubblico. Analogamente, ci si attendono misure concrete sul fronte del contenimento della spesa pubblica più che vaghi impegni o, addirittura, litigi tra i due partner di governo.

Secondo gli analisti di Intermonte Sim, il verificarsi di tutte queste condizioni potrebbe portare lo spread Btp-Bund «in area 280/300 punti base nelle prossime settimane, con perdita di spread anche verso gli altri Paesi periferici dell'area euro». Il differenziale con la Grecia è a soli 65 punti, ai minimo dal 2009 in virtù del maxi-avanzo primario promesso da Atene. Lo spread con la Spagna è sfavorevole di 153 punti e quello con il Portogallo di 142.

Il rating di Standard & Poor's non può che interpretarsi, quindi, come un ulteriore monito a intraprendere una sostenibile strategia di tagli alla spesa corrente.

Obiettivo fin qui trascurato da Lega e M5s.

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