
nostro inviato a Cernobbio (Co)
Quando alle due del pomeriggio gli ultimi ospiti lasciano villa d'Este nella politica italiana probabilmente non è cambiato nulla. Cernobbio di questi tempi è un luogo immaginario, dove si passa per lasciare una traccia di sé sulle onde del lago. È un teatro dei passi perduti. Te ne accorgi quando vedi passare di fretta Luigino Di Maio, resto spurio del grillismo di una volta, indaffarato con le faccende mediorientali che per grazia europea è ormai il suo pane quotidiano. C'è un giovane arabo vestito da arabo che tutti osservano con malcelata curiosità e sottovoce commentano: "Non sarà per sbaglio amico di Renzi?". Invece no, si chiama Mohammed Khallaf e gestisce le relazioni diplomatiche per Ambrosetti nel Golfo Persico. È un altro campo largo. C'è Gentiloni che parla con Calenda con le spalle al porticciolo sotto il sole di metà mattina e un osservatore attento potrebbe pensare che tutti e due sono lì a sognare una sinistra senza rimpianti, ma il sospetto è che l'ex commissario a Bruxelles stia esplorando il terreno. Come sostiene uno che non lo ama: "È uno dei duecentoventitré candidati alla successione di Mattarella". Il Quirinale è l'ospizio delle carriere interrotte. C'è Angelino Alfano con un passo in più che si muove cordiale con un orizzonte di lobby e di governo. C'è Enrico Letta sereno come non lo è stato mai che ragiona su opportunità di lobby e opposizione. C'è un cameriere in livrea che si sente un bonzo e colpisce un gong per annunciare che la pausa è finita e si deve tornare in sala, perché anche qui il mondo gira verso Oriente. C'è una anziana signora svedese che protesta da sola con una bandiera della pace e sorride ai carabinieri. Ci sono troppi ministri e pochi industriali. C'è una Cernobbio blindata in attesa di Pro Pal che non arriveranno mai. A domare il campo largo, sul palco da prima colazione, c'è Luciano Fontana, direttore del Corsera.
È una tranquilla giornata di sole.
Allora forse è per questo che a rovinare la foto del campo largo c'è un'assenza, un vuoto, una nuvola che con ottimismo solo Angelo Bonelli, spettinato a metà, considera passeggera. "Vincere e vinceremo". Il campo largo è fatto, basta cacciare Calenda dall'altra parte. Calenda in effetti si accomoda, ricordando al capocordata di Alleanza verdi e sinistra che "peggio del populismo c'è solo il cretinismo". E così sia. Quello che manca comunque è Giuseppe Conte e non è un caso. A Cernobbio, annunciato, non è proprio voluto venire. Il bello è capire perché. Ok, la scusa ufficiale è che doveva visitare Napoli nel pomeriggio, per riconoscere a Roberto Fico il ruolo di vassallo in Campania. Tutti insieme alle regionali, ma senza esagerare. Il campo largo è troppo largo. Il problema non è la fugace presenza di Calenda, la questione è sempre lui: Matteo Renzi da Rignano sull'Arno, maestro di imboscate. Conte le teme per saggezza popolare. Non è il solo, chiaramente. È che Matteo quando ci si mette ci sa fare davvero e non c'è dubbio che il più efficace architetto del campo largo alla fine sia ancora lui. C'è la sua mano, magari subita e sofferta, anche nelle ultime mosse di Elly Schlein. La lenta tessitura per le regionali, dove si prende nota di una fragile unità ha un sapore fiorentino. È stato Renzi a convincerla a fare un passo indietro sulla riforma della legge elettorale, dove si intravedeva un patto tra leader per affrontarsi a viso aperto, da donna a donna. Tutto rimesso in discussione, perché con quella attuale il campo largo conta di vincere in buona parte dei collegi maggioritari del centro-sud. Questo significa che Giorgia non raggiunge la maggioranza al Senato. È esattamente quello che vuole Renzi, che gioca per la patta e per un premier tecnico se possibile di nome Mario. Siccome Conte non è uno sprovveduto tali cose le sa e il Matteo tessitore di intrighi non lo vuole vedere neppure da lontano. Il campo largo va bene, ma da attraversare rasando i muri. Il buon Conte teme, in fondo, quello che si potrebbe definire piano Zangrillo. Paolo Zangrillo è il ministro per la Pubblica amministrazione. È il capo della più grande fabbrica italiana, quella in cui lavorano milioni di dipendenti statali. Cosa c'entra con il campo largo? Ne ha appena sfigurato uno, quello dell'unità sindacale, quello che negli anni Settanta sembrava l'inizio di una formazione di calcio, tipo Lama, Carniti, Benvenuto. Zangrillo ha firmato con la Cisl i contratti di Sanità, Difesa e Sicurezza. Poi con i dirigenti degli Enti centrali c'è stata la svolta: la Uil dice sì e dovrebbe farlo anche sulla scuola. La Cgil resta sola e la politica sindacale troppo campolarghesca di Landini si sta sgretolando.
Conte quando vede Renzi si ricorda di questo: non voglio fare la fine di Landini. Il centro della sinistra è una palude minacciosa per l'uomo che si è mangiato i grillini: "Avanti popolo alla riscossa". E il reddito di cittadinanza addormenta il Sud.