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Leader in rotta tra smacchi e fronti interni

Biden frastornato, Johnson agitato, Merkel al triste tramonto. E gli altri...

Leader in rotta tra smacchi e fronti interni

Verrebbe di chiamarli i sette nani, altro che Grandi, con la G maiuscola, dopo la figuraccia rimediata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati nel pasticciaccio afghano. Al G7 straordinario convocato da Boris Johnson le sette capitali (più l'Unione Europea) sono arrivate in ordine sparso, con un disincanto e un «ombelicalismo» favorito anche dalla modalità Dad dell'incontro: tutti affacciati dai rispettivi computer come leader in smart working.

Naturalmente tutti gli sguardi oltre lo schermo erano per Joe Biden, che in poco più di una settimana ha dovuto incassare non pochi smacchi: il precipitoso abbandono di Kabul, prima di tutto, che qualcuno definito un remake del Vietnam (improprio, ma la suggestione ci sta), e poi a cascata la necessità di trattare con i talebani anche sono per scappare come topi; le prese in giro dei talebani, che si sono fatti fotografare a scimmiottare il celebre scatto di Iwojima con le divise soffiate ai soldati a stelle e strisce; i tristi conti di quanto il ventennio afghano sia costato in termini finanziari e di vite umani. Di tutto ciò il tenero Joe ha già pagato un pesante dividendo politico non solo con i prevedibili attacchi di Donald Trump, con gli altrettanto prevedibili cali nei sondaggi (comunque rovinosi), ma anche con la perdita della sicura leadership all'interno della Nato, che molti - amici e nemici - ormai mettono in discussione. Immaginiamo dunque lo stato d'animo dell'inquilino dem della casa Bianca quando ieri ha acceso il pc per collegarsi con alleati dallo sguardo accigliato.

Anche per Londra siamo in zona Caporetto. Boris Johnson ha preso le distanze dalla fuga all'americana, ma non è riuscito a ottenere nemmeno il risultato minimo di avere un rinvio dell'ultimatum del 31 agosto per l'evacuazione e ora si trova costretto a prendere in considerazione l'ipotesi di collaborare con Russia e Cina per ammorbidire i talebani. La Londra della Brexit certo ha mano più libera degli alleati ancora sotto l'ombrello di Bruxelles, ma anche BoJo ha un problema di consenso interno. Lui, per non sbagliare, qualche giorno fa ha parlato di «missione britannica conclusa». Hai visto mai che qualcuno ci creda.

Emmanuel Macron come sempre sembra avere più evocazione che assi nella manica e punta forte sui diritti umani. Angela Merkel ha incassato il no dei Paesi confinanti con l'Afghanistan per l'allestimento di centri di raccolta dei profughi, il nì di Ankara alla gestione dell'evacuazione dopo l'addio dei Paesi occidentali, e le critiche interne per la frabilità dell'intelligence. Un tramonto rovinato, quello di frau Angela. E Roma? Mario Draghi è arrivato molto demotivato a una riunione che ritiene più che inutile interlocutoria in vista di un G20 quello sì fatidico che peraltro vorrebbe ospitare per lasciare il segno.

Bruxelles è la sommatoria di tutte le esitazioni e gli imbarazzi dei Ventisette. La commissaria Ursula von der Leyen ha spinto molto nei giorni precedenti per un aumento dell'aiuto comunitario all'Afghanistan da 50 a 200 milioni di euro, per una gestione globale dei rifugiati e per ottenere un corridoio. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, invece, ha puntato i fari sulla questione della sicurezza, dicendosi preoccupato per una possibile escalation terroristica.

E se il Canada ospita le preoccupazioni del leader Justin Trudeau di non vedere erodere il proprio consenso in vista delle elezioni anticipate del 20 settembre, il Giappone guarda con angoscia la vicina Cina metter su ancora più muscoli.

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