
C'era una teoria. Scritta con una certa presunzione nero su bianco neanche dieci giorni fa da personaggi del gotha piddino come Dario Franceschini, sposata in parte dalla Schlein e caldeggiata dai leader delle altre forze radicali, da Conte fino a Fratoianni. Una teoria talmente semplice da sembrare l'uovo di Colombo secondo la quale per vincere la sinistra, il Pd, il campo largo, debbono puntare sull'elettorato identitario, riportare alle urne i propri elettori, quelli con la casacca color vermiglio innamorati della piazza al punto di essere indulgenti anche con le manifestazioni più violente. Le Marche cioè una territorio di frontiera, soprannominato l'Ohio d'Italia proprio per questa ragione, tradizionalmente di sinistra e governato solo da cinque anni dal centro-destra, unica regione sulla carta contendibile in questa stagione di elezioni amministrative, sembrava un test più che adatto per verificare la fondatezza di questa intuizione. Senza contare il fatto che la campagna elettorale nell'ultima settimana è stata caratterizzata da un argomento come la tragedia di Gaza, cioè un tema funzionale per mettere in pratica una strategia di questo tipo.
Ebbene, queste congetture, elucubrazioni, analisi si sono rivelate poco fondate. Visto che si tirano in ballo immagini a tinte forti dal poderoso impatto ideologico, il nuovo credo si è dimostrato, per usare il giudizio del ragioniere Fantozzi su un film ugualmente "identitario" come La corazzata Potëmkin, "una cagata pazzesca". "Il campo largo se punta solo sull'elettorato identitario - osserva Alessandra Ghisleri - non vince. Anche la campagna sulla flotilla non lo ha premiato". Senza contare che ci vuole poco a capire come la maggior parte di quel 50% di elettori che ha disertato le urne non appartiene all'immaginario di sinistra, ma al mondo moderato.
Ora non bisogna essere dei geni per aver ben presente un dato per alcuni versi storico. La sinistra con questo schema non ha mai vinto in Italia. Enrico Berlinguer ne era consapevole. Romano Prodi è arrivato due volte a Palazzo Chigi pretendendo sempre la presenza di una gamba moderata nel suo schieramento, si chiamasse Margherita o addirittura Mastella. "L'ho ripetuto innumerevoli volte in questi mesi e il Pd non basta ad assolvere questa funzione", è lo sfogo laconico del Professore con il suo cerchio ristretto.
Insomma, la teoria dell'"elettorato identitario" ambiva a mettere in discussione un dogma che alla prova dei fatti si è dimostrato ancora valido. Con questa strategia il Pd non è neppure più il primo partito nelle Marche.
Il problema non è la formula del "campo largo", visto che non esistono sulla carta alternative competitive, ma il fatto che una coalizione costruita solo sull'asse Pd-5stelle e magari Avs non basta. Non per nulla un'alleanza impostata in questo modo - per citare You trend - ha perso ben dieci volte nelle elezioni regionali. Né bastano i buoni propositi: da quelli della Schlein ("continueremo con determinazione nel nostro impegno unitario") a quelli di Bettini ("implementare l'alleanza nelle coscienze"), al linguaggio pacato con cui Conte ha commentato la sconfitta.
Messe così sono parole vuote perché la questione riguarda gli equilibri, le alchimie, la postura con cui si presenta lo schieramento. Il punto è che la gamba moderata al momento - da Renzi, ai radicali, a tutti i movimenti che riguardano la cosiddetta "tenda riformista" - è troppo debole. Soprattutto, è considerata dall'ala sinistra della coalizione un ospite maltollerato. È sempre sotto esame, guardata con diffidenza e quindi non può dispiegare la proposta programmatica che dovrebbe coprire un'"area elettorale decisiva" come quella di frontiera tra i due poli: si ha la sensazione, nei fatti, che il neo-bipolarismo italiano si articoli tra uno schieramento di centro-destra e uno di sinistra. "E noi non siamo la Spagna, abbiamo bisogno di dare voce anche al buonsenso", rimarca Lia Quartapelle. In più la candidatura della Schlein alla premiership esalta questa rappresentazione e propone, appunto, uno schema storicamente perdente.
Ora i riformisti del Pd ne fanno una questione interna al partito. "Il Pd - osserva la Malpezzi - deve avere un profilo più ampio". Ma è un'impostazione asfittica perché il Pd targato Schlein è un partito "tout court" di sinistra. "Non riusciamo ad interpretare il sogno spezzato del ceto medio", lamenta la Picerno.
Per cui si propone una questione di fondo: o la Schlein riesce a creare e dare peso e protagonismo
alla gamba moderata del "campo largo"; o il centro-sinistra ha bisogno di un candidato a Palazzo Chigi che abbia un profilo più moderato, di buonsenso. Delle due l'una: sempreché il centro-sinistra voglia essere competitivo.