Governo

"L'effetto SuperMario sta tramontando. La Meloni eredita la parte più difficile"

Il docente della Luiss vede appannarsi l'opera dell'ex presidente della Bce: "Sul Pnrr ha fatto tutti i decreti, ma l'attuazione arriva ora"

"L'effetto SuperMario sta tramontando. La Meloni eredita la parte più difficile"

«Il governo di centrodestra cerca di trovare soluzioni concrete più che di scaricare le colpe al passato». Lorenzo Castellani, docente di Storia delle Istituzioni Politiche alla Luiss, ritiene che le critiche della Meloni al governo Draghi sul Pnrr non siano un tentativo di far da «scaricabarile», ma è convinto che la figura dell'ex premier sia ormai un po' appannata rispetto al passato.

Si può dire che l'effetto Draghi è finito?

«Per certi aspetti no e per altri sì. Guardando la legge di bilancio si vede che, pur cercando di dare attuazione alle promesse elettorali del centrodestra, si svolge in un'ottica di prudenza e all'interno di linee macro-economiche già indicate da Draghi. Per quanto riguarda il Pnrr, invece, emerge un elemento fondamentale: Conte e Draghi si sono occupati della parte più facile, quella in cui si dovevano indicare i pre-requisiti di policy, fare i decreti e organizzare gli uffici per portare avanti il piano. Alla Meloni tocca la parte più complicata, ossia attuare concretamente il piano».

C'è un revisionismo su Draghi o resta un mito intoccabile?

«Secondo me resta intoccabile perché non c'è mai stata nessuna polemica aspra anche da parte di questo governo. Poi, Draghi non è un politico, ma un tecnico che guidava un governo di unità nazionale. Non ci può essere, dunque, una damnatio memoriae come successe con Monti che scelse la via della politica e venne messo sotto attacco. Nel caso di Draghi ciò non è avvenuto perché si è ritirato a vita privata. Resta una riserva della Repubblica come successore di Mattarella».

La guerra e il Covid hanno coperto alcune falle del vecchio governo?

«Sì, è evidente. Prima la campagna vaccinale, poi la guerra e il fatto che gran parte del Next Generation You sia stato scritto insieme all'Ue sono tutti fattori che hanno sopraelevato e hanno coperto le debolezze di quella variegata maggioranza. Sulla pandemia e sulla scrittura del Pnrr, però, quel governo ha fatto meglio di Conte, mentre sulla crisi energetica le risposte sono state tardive e insufficienti. Si sapeva che il price cap non avrebbe funzionato, un tema su cui Draghi ha preso parecchie porte in faccia dall'Europa. Diciamo che è stato abbastanza aiutato dagli eventi e, per la sua carriera politica futura, è stato un bene che l'esperimento sia stato a tempo e circoscritto da un'emergenza all'altra».

Draghi ha scaricato anche il problema dei migranti sul governo Meloni?

«Sì, sui migranti hanno fatto un summit in cui fu messa una pezza che non funzionava tanto e hanno rinviato il problema. La verità è che Draghi sperava di stare ben poco a Palazzo Chigi. Pensava di risolvere la pandemia e il Pnrr e, poi, di trasferirsi al Quirinale. Questo non è avvenuto e il governo ha iniziato a morire il giorno dopo la rielezione di Mattarella».

Draghi e il suo governo, stando ai sondaggi, godevano di un buon apprezzamento. Come si spiega questa cosa?

«Draghi era apprezzato perché gran parte dell'elettorato italiano non vedeva soluzioni politiche migliori rispetto a lui. E l'altra soluzione migliore, cioè Giorgia Meloni, sedeva all'opposizione anche se si trattava di un'opposizione molto particolare perché era molto soft e dialogante. La Meloni non ha mai attaccato frontalmente Draghi, mentre tutti gli altri politici che lo sostenevano o erano deboli o in parabola discendente oppure poco credibili. Poi c'erano i Cinquestelle che, già durante il governo Draghi, avevano spostato il loro asse a sinistra. Paradossalmente, gli italiani hanno considerato la Meloni, anche per il modo intelligente con cui ha fatto opposizione, come la carta più credibile dopo Draghi.

La mancanza di alternative ha premiato entrambi in momenti diversi».

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