Anagraficamente contigui, accoppiati da sorte benevola (altro che astensione), nonché da «orientamento antropologicamente comune» (come rilevava Cacciari), Luigi Di Maio e Matteo Salvini non faticano a capirsi. In otto minuti, ha scritto il Corsera: basta loro scrutarsi negli occhi, ché le cose importanti se le sono già dette nell'approssimativo italiano delle incessanti whatsappate.
Questo il quadro, che spopola sul web e non solo. Anche ieri la coppia s'è vista: il capo leghista intorno al mezzodì ha lasciato Palazzo Madama annunciando al mondo: «Mi vedo con Di Maio», e l'emozione si tagliava a fette. La barchina va, a forza di braccia dei due morosi sfida pure i marosi. Non è solo gioco di parole (e sguardi): dopo essersi intesi sui metodi, ieri annunciavano altri «passi avanti» e «ampie convergenze sul reddito di cittadinanza, il conflitto d'interessi, la tassazione della flat tax» (e, pare, la legittima difesa e l'autonomia). Lo riferiva Giggino di Pomigliano, ma era come se lì vicino ci fosse anche Matteo de Milàn. Il quale confermava poco dopo che il conflitto d'interessi fa parte del contratto, «lo ha detto anche Giorgetti», ripeteva sornione. E quindi, su Facebook stilava una lista che, limato qualche eccesso di protoleghismo, sembra essere quella di Giggino: «Cancellare la Fornero, tagliare tasse e burocrazia, ridurre gli sbarchi e aumentare le espulsioni, ridare dignità al lavoro, tagliare sprechi e privilegi... chiudere le liti tra cittadini ed Equitalia, aiutare (davvero!) i disabili, garantire il diritto alla legittima difesa... Andiamo a governare». I due, insomma, sono lanciatissimi e, se in otto minuti si capiscono al volo, figurarsi nell'ora e mezza dell'incontro di ieri. «Siamo persone ragionevoli, tra noi non ci sono ostacoli».
All'uscita era Di Maio a concedersi più volentieri alle telecamere, annunciando un nuovo appuntamento per stamattina, addirittura a Milano, al Pirellone. Come dire: «Ti presento i miei», solo che la parte di De Niro non toccherà a Beppe Grillo bensì a Davide Casaleggio (ieri entrambi a cena con Di Maio, con il comico che promette «resto garante»), tanto per far capire a Salvini chi c'è nella stanza del telecomando. La scelta di un appuntamento milanese non pare casuale anche per un altro motivo: far intuire che anche per la giunta regionale lombarda potrebbero esserci grandi novità. Anche se è presto per dirlo e forse si voleva lanciare solo un altolà a Forza Italia (anche rispetto ai numeri della maggioranza giallo-verde, che in Senato traballa un po', con solo sei voti in più). Berlusconi infatti per ora è ancora glaciale, rispetto all'idea di far entrare Di Maio (e confermare Salvini) nel «cerchio della fiducia». Molto conterà il nome del premier, quando i due avranno messo a punto lo schema e capito chi possa interpretare una parte tanto difficile. Ardua al punto - per le implicazioni sulla stessa tenuta del «triangolo» - da far risalire ieri le quotazioni di Di Maio premier (almeno da fonti grilline, subito rintuzzate da un nyet leghista). Poltronissima da ricompensare, secondo M5s, con poltrone che contano per i leghisti con l'aggiunta al governo della Meloni, che nel pomeriggio s'è incontrata con Di Maio. Il suo «non ho niente da dire» all'uscita fa capire che una sua partecipazione, utile per rafforzare i numeri al Senato, è in alto mare.
Di Maio ha sminuito l'incontro a «cortesia» per spiegare a Fdi perché il contratto va sottoscritto solo con Salvini. Al quale ha rinnovato la disponibilità «a fare un passo indietro nella premiership». Difficile che il contratto possa essere firmato già oggi.
Di Maio però trasuda felicità da tutti i pori:«Dimostreremo che le cose si possono fare, altro che governo populista minaccia per il mondo... Chi parla di rischi per la Ue (Tajani, ndr), forse vede una minaccia per la sua poltrona...».
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