La Lega resta al governo. Salvini inchioda Draghi e lo allontana dal Colle

Il leader del Carroccio respinge le accuse di boicottaggio: "C'è un lavoro da finire"

Il leader della Lega Matteo Salvini
Il leader della Lega Matteo Salvini

Non sarà lui a staccare la spina. Quando chiedono a Matteo Salvini se il tempo della Lega al governo sia ormai al tramonto la risposta è una mano semichiusa che dondola per ribadire: ma di cosa stiamo parlando? La fiducia verso Mario Draghi non è in discussione. La Lega lo vede bene lì, dove sta, per continuare un lavoro necessario e importante, che solo lui può incarnare, perché non ci sono altri leader in grado di dare un senso a una maggioranza atipica. L'emergenza non è finita e il Quirinale non è una scusa per archiviare ogni progetto. Sì, si obietta, ma la Lega sta al governo in modo non accomodante e pone limiti, questioni, rendendo difficile la vita allo stesso Draghi. Sarebbe il segno di un'insofferenza e di un desiderio di raggiungere Giorgia Meloni all'opposizione. Il sospetto è che ci sia un piano, attribuito a Giorgetti, di favorire la candidatura di Draghi al Colle, lasciando l'onore del governo a una maggioranza debole a guida Pd. L'idea sarebbe appunto quella di un giro di opposizione prima delle elezioni politiche del 2023.

Questo però, secondo Salvini, è uno scenario messo in giro dalla sinistra, a cui fa comodo raccontare la storia di un Salvini irresponsabile. La lettura leghista è ovviamente diversa. Le «questioni» non sono capricci. Non è boicottaggio. L'esempio è lo scontro sul nucleare con Conte e Letta. L'aumento del costo delle bollette non è una sciagura arrivata all'improvviso. È la conseguenza di una politica energetica miope e distratta. Adesso i sintomi sono diventati evidenti. Questo governo non può fare finta di nulla, da una parte c'è la necessità di dare una risposta veloce, dall'altra il dovere di una strategia per il futuro: che fare? Salvini scommette sul nucleare, Conte e Letta ritengono che questa strada sia impraticabile, anche dal punto di vista «ideologico». Ora chiedere a Draghi, e al ministro Cingolani, di prendere una posizione non è disfattismo. È, secondo la Lega, la funzione storica di questo governo. È un discorso connesso con il piano nazionale di ripresa e resilienza. «Il partito è al lavoro su dossier urgenti e che toccano nel vivo famiglie e imprese». Draghi non è stato chiamato a Palazzo Chigi per mettere su un governo balneare. Il suo è un lavoro di prospettiva. È nato per superare la pandemia e immaginare un futuro. È stato creato un ministero per la transizione ecologica. È legittimo, quindi, che la Lega apra una discussione sulle politiche energetiche. L'alternativa sarebbe sottomettersi ai «no» di Pd e Cinque Stelle. La Lega, quindi, non scappa, ma neppure si accontenta di svolgere un ruolo marginale nella maggioranza. Se qualcuno non è d'accordo è arrivato il momento di dirlo e di assumersi le proprie responsabilità.

Il discorso a questo punto coinvolge anche la successione a Mattarella. La mossa del leader leghista da una parte punta a rassicurare Berlusconi, puntellando la coesione del centrodestra, dall'altra parte fa capire a tutti che senza Draghi non ci può più essere un governo di unità nazionale. L'attuale maggioranza non può avere un futuro con Draghi come capo dello Stato. È un percorso che si interrompe, perché la Lega non può prendere in considerazione un altro presidente del Consiglio. A quel punto tocca agli altri trovare un'altra maggioranza, con un passo indietro ai tempi di Conte e con un governo debole nei numeri e nelle prospettive.

La via maestra con la fine della stagione di Draghi sarebbe quella delle elezioni, uno scenario che in Parlamento quasi tutti temono e che avrebbe conseguenze sul Pnrr. Qui c'è anche una risposta al Pd, che tende a rappresentarsi come l'unica forza politica con vocazione governativa. La Lega, è il messaggio, lo è molto di più. Non sarà Salvini a far saltare il banco.

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