Lega, zona retrocessione. Adesso Salvini è nei guai
26 Settembre 2022 - 06:00Il Carroccio crolla all'8,8 per cento e nel partito si può aprire la resa dei conti per la leadership
Molto bene il centrodestra, molto male la Lega. Questa la valutazione consolidata sul «ponte di comando» del Carroccio dopo la diffusione degli exit-poll (col partito intorno al 10%) e soprattutto con le prime proiezioni, che lo davano addirittura all'8%: meno di un terzo dei voti di Fratelli d'Italia, la metà di quelli dei 5 Stelle, tallonato da Forza Italia. Matteo Salvini oggi appare come il capo in difficoltà di un partito in crisi.
Il segretario leghista è arrivato alle 22.30 in via Bellerio, e nella storica sede milanese del Carroccio ha seguito lo spoglio, coi fedelissimi, in un clima di nervosismo crescente. Alle 23 e 15 il suo primo tweet: «Centrodestra in netto vantaggio sia alla Camera che al Senato. Sarà una lunga notte, ma già ora vi voglio dire grazie». Si è aggrappato alla ostentata soddisfazione per la vittoria del centrodestra, scontata, ma era il voto di lista quello più atteso, e se gli «exit poll» delle 23 hanno regalato un'illusione di «pericolo scampato», i dati reali l'hanno tramutata prima in ansia e poi in aperta, cocente delusione.
Dopo la mezzanotte le seconde proiezioni: 8,7% quelle Rai, e «Swg» per la 7, 8,1% quella «Tecné» per Rete4. Poi la terza proiezione Rai: 8,8%. Insomma, la coalizione è andata alla grande - come previsto - il partito invece no. In via Bellerio nessuno ha più parlato, e quel silenzio potrebbe anche nascondere una resa dei conti interna.
Non è stata una giornata di entusiasmi la domenica elettorale dei leghisti. Ieri mattina Salvini ha votato presto, nella sua Milano. Ha sfoderato la consueta sicurezza, e l'auspicio di un governo di legislatura. Ha gettato acqua sul fuoco degli entusiasmi e ha voluto spegnere ogni polemica con Silvio Berlusconi, che gli aveva riservato parole «agrodolci», rivelando di volere «più voti della Lega». E il fantasma del sorpasso, poi, si è quasi materializzato.
Non era stata una giornata facile, quella di Salvini, e non è stata una campagna elettorale semplice la sua: una specie di improvvisa volata a cui è arrivato con la «zavorra» di una responsabilità di governo condivisa con poca convinzione, gravato dalla sensazione di un ineluttabile calo e sottoposto all'impietoso confronto con FdI, il partito di Giorgia Meloni che è rimasto sempre all'opposizione continuando la sua progressione anche al Nord, fino a concretizzare il bruciante «sorpasso» che già si era profilato alle ultime amministrative.
I pronostici della vigilia si esercitavano sul distacco con cui FdI avrebbe «liquidato» la Lega, e sulla «soglia» che avrebbe segnato la sua sconfitta: il 12%, o il 10. Lontani i giorni delle Politiche 2018 (il Carroccio era arrivato al 17%) lontanissimo il trionfo delle Europee 2019, quando il «Capitano» aveva trascinato il suo partito oltre il 30%, superando il tradizionale arroccamento nel Lombardoveneto e sfondando anche al Sud. Sono passati solo tre anni, eppure il vento è cambiato.
Dopo la cavalcata trionfale da ministro dell'Interno, nell'agosto 2019 si è «rotto» il patto «giallo-verde» e lì è iniziata la discesa, apparentemente inarrestabile. La Lega è arrivata a questo voto sfibrata da un anno e mezzo di opposizione al governo «Conte 2» e poi logorata dal successivo anno e mezzo trascorso nella maggioranza che ha sostenuto Mario Draghi. Una posizione scomodissima per Salvini, segnalata da un'insofferenza sempre più palese per il premier, sfociata negli ultimi giorni in vera e propria lite. Da leader di un grande partito, ha continuato a parlare della possibilità di un suo ritorno a Palazzo Chigi, ma l'obiettivo della sua campagna era chiaramente aggiustato «al ribasso», per quanto prestigioso: il ritorno al Viminale.
L'obiettivo di un ministero potrebbe essere ancora a portata di mano, ma intanto potrebbe anche crescere il malumore interno, e trasformarsi in aperta rivolta.