
La Consulta conferma l'esistenza del diritto costituzionale al suicidio assistito, previsto dalle sentenze 242 del 2019 e 135 del 2024, allarga il perimetro del «trattamento di sostegno vitale» per i malati che vogliono essere aiutati a morire, indebolendo ancor di più il reato previsto all'articolo 580 del Codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) e spinge per la quarta volta il Parlamento a legiferare sull'accesso «universale ed equo» alle cure palliative e al suicidio medicalmente assistito nei vari contesti sanitari, sia domiciliari che ospedalieri. Una materia divisiva, tanto che i relatori al ddl Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ignazio Zullo (FdI) ieri non hanno presentato il testo unificato nel Comitato ristretto della commissione Affari Sociali di Palazzo Madama, proprio mentre alcune Regioni come Toscana, Emilia-Romagna e Sardegna vogliono legiferare per conto loro.
Secondo la sentenza numero 66 della Corte costituzionale, risalente allo scorso 27 marzo e depositata solo ieri, non solo la persona malata che vuole accedere all'aiuto alla morte volontaria deve essere «capace di autodeterminarsi» ed essere affetta da «patologia irreversibile fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche», dipendente da «trattamenti di sostegno vitale, più o meno invasivi (terapie o macchinari) normalmente compiuti da familiari o caregivers ma, ed è questa la novità di ieri, ne ha diritto anche se questi trattamenti sono stati prescritti e non eseguiti perché rifiutati dal malato.
«È la quarta volta che la Consulta ammonisce il Parlamento perché legiferi sul fine vita», esultano i legali dell'Associazione Coscioni che sostengono il diritto di Marco Cappato alla disobbedienza civile al fianco delle persone discriminate che accompagna a morire. A Palazzo Madama i Cinque stelle con il capogruppo M5S Stefano Patuanelli chiedono alla maggioranza «un recinto minimo condiviso da tutti per poter almeno parlare», il senatore Pd Alfredo Bazoli chiede che la sua proposta vada in aula a luglio, con il presidente dei senatori dem Francesco Boccia che chiede «una data certa per non tenere il Parlamento in ostaggio» mentre il presidente Fdi della commissione Affari sociali e Sanità del Senato Francesco Zaffini è convinto che alla fine si troverà un testo «il più condiviso possibile, andando fuori dagli schemi» per non andare in aula senza un testo di maggioranza». «Si tratta di un tema complesso, l'iter non è semplice e il dibattito non può essere ridotto a uno scontro tra tifoserie», ragiona la senatrice Mariastella Gelmini, capodelegazione di Noi Moderati al Senato.
Zanettin ribadisce la volontà di Forza Italia di un testo «con il più ampio consensopossibile» per dare «risposta ai richiami della Corte Costituzionale», ma è anche vero che i nodi da sciogliere sono delicatissimi e riguardano il ruolo del Servizio sanitario nazionale e soprattutto le cure palliative, perché l'assenza di un adeguato sistema «può indurre i pazienti a percepire la morte assistita non come una scelta libera ma imposta dalle
circostanze», denuncia il presidente di Pro Vita & Famiglia onlus Antonio Brandi, secondo cui «la mancanza di assistenza trasforma il diritto alla vita in un dovere di morire». E questo il Parlamento non lo può permettere.
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