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L'Eni garantisce l'autonomia italiana col patto di Tripoli. Descalzi verso il bis

La produzione dei nuovi impianti garantirà circa 21,2 milioni di metri cubi al giorno

L'Eni garantisce l'autonomia italiana col patto di Tripoli. Descalzi verso il bis

Un investimento da 8 miliardi di dollari, che dovrebbe permettere a due giacimenti di gas al largo della Tripolitania di entrare in azione a partire dal 2026. Questo è il fulcro dell'accordo firmato ieri a Tripoli dall'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e il presidente della National Oil Corporation (Noc), Farhat Bengdara. Presenti anche la premier italiana, Giorgia Meloni, e il primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Al-Dbeibah. Da parte italiana l'accordo è un tassello in più, che darà i suoi frutti in prospettiva, verso il disegno che vorrebbe rendere Roma il futuro hub energetico dell'Europa. La premier Meloni ieri ha parlato di «un progetto che si comincia a conoscere fuori dai confini nazionali» ed è «un'iniziativa che punta a garantire energia ai cittadini libici e maggiori flussi verso l'Europa» ed è «uno dei contributi più significativi che si possono dare alla stabilizzazione e alla crescita della Libia». Ad accompagnare la premier anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e degli Interni, Matteo Piantedosi. La visita di ieri aveva sul tavolo altre questioni delicate come la stabilizzazione politica e i migranti. Invece l'ad di Eni, la cui riconferma appare oggi pressoché scontata, è sempre più il manager di fiducia per la costruzione di un progetto di affrancamento dalle forniture russe di energia che deve passare per forza dal continente africano.

«L'accordo di oggi consentirà di effettuare importanti investimenti nel settore dell'energia in Libia», ha commentato Descalzi, «contribuendo allo sviluppo e alla creazione di lavoro nel Paese, e rafforzando la posizione di Eni come primo operatore in Libia». Il Cane a sei zampe, infatti, è il principale produttore internazionale di gas in Libia, con una quota dell'80% della produzione nazionale (45 milioni di metri cubi al giorno nel 2022).

Per i libici, quello di Eni rappresenta il maggiore investimento da 25 anni a questa parte e ha un suo valore simbolico: il Paese, di fatto, riparte dopo il periodo più buio della guerra civile e ora si candida ad attrarre nuovi investimenti. L'estrazione di petrolio e gas è la principale fonte di ricchezza del Paese, ma richiede ingenti risorse che negli anni, a causa dell'instabilità politica sorta dopo l'abbattimento del regime di Muammar Gheddafi, avevano smesso di fluire nel Paese. A margine della cerimonia per la firma, si è fatta notare l'assenza del ministro del Petrolio libico, Mohamed Aoun, in rotta con il premier Dbeibah che l'ha emarginato. In particolare, da quanto emerge da fonti giornalistiche locali, Aoun non sarebbe convinto della capacità della Libia di esportare gas.

Tripoli è collegata all'Italia dal gasdotto Greenstream, inaugurato nel 2004 da Silvio Berlusconi e Gheddafi, che si allaccia a Gela, in Sicilia. Il nuovo progetto di Eni andrà a rendere operative le strutture A ed E, nell'area di Bahr Essalam, entrambe nel giro di tre anni. La produzione, specifica Eni, raggiungerà un plateau di 750 milioni di piedi cubi di gas al giorno (circa 21,2 milioni di metri cubi). Ne rimarrà una buona parte ai libici, il resto sarà esportato verso l'Europa. Per quanto sia prematuro fare stime, per l'Italia dovrebbe voler dire almeno un miliardo di metri cubi di forniture in più (nel 2022, dei 9,3 miliardi prodotti in Libia da Eni, circa 2,5 miliardi sono arrivati da noi).

Per Bengdara, le «riserve si avvicinano a 170 miliardi di metri cubi di gas con una capacità di produzione da 21 a 22,5 milioni di metri cubi al giorno per 25 anni».

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