È l'emozione della vita: quello scricciolo appena venuto al mondo e che un giorno ti chiamerà papà. Alessandro Di Battista, icona M5s, ha avuto questo privilegio e lo racconta, anzi lo urla al mondo intero, gridando a squarciagola la propria felicità. Meraviglioso. E però dovrebbe esserci una misura, una qualche forma di compostezza, se non altro un pizzico di autoironia nel fermare la mano grafomane che avanza come una ruspa per pagine e pagine del suo freschissimo libro Meglio liberi (Rizzoli) fra ciucci, pannolini, notti insonni, a occhio nemmeno troppe. E poi ancora nonni con la faccia a cuore, lasagne al pesto, ecografie e corsi preparto. Sì, il Dibba ha fatto il corso preparto e questa è la prima notizia che si riesce ad arpionare in questo diario liquido che all'epopea grillina, una sorta di colonna sonora emozionale, sovrappone l'epopea del piccolo Andrea, il figlio che ha cambiato persino l'agenda pentastellata. Papà Alessandro, numero tre del Movimento, ha deciso infatti di chiudere con la politica e di scomparire, almeno per un po', dai riflettori. Dopo aver nuotato per capitoli interi sovraeccitati fra bebè, sveglie e pappe, si cerca invano in questo quaderno dai toni adolescenziali la spiegazione di un passaggio così impegnativo, le colonne d'Ercole di un'esistenza, e, va riconosciuto, anche coraggioso. «Voglio andare nei mercati del mondo - scrive l'autore - a scegliere con cura la frutta e la verdura che tu mangerai». Potrebbe pure bastare, come il viaggio interminabile di un liceale, ma il leader che si riconosce, modestamente, un certo talento come scrittore insiste: «Voglio portarti sulle mie spalle a guardare l'oceano».
Con Andrea, che già ci sta simpatico, e con Sahra, la donna di cui Alessandro è perdutamente innamorato. Dibba va avanti a lungo nel dipingere la propria scelta, apparsa ai più a dir poco bizzarra. Ma si capisce lontano un chilometro che la corazza di purezza di cui è foderato l'uomo non basta per resistere alle infinite obiezioni possibili. Lui non risponde, ma accumula i suoi momenti di felicità, mixandoli con alcuni siparietti e con alcuni giudizi che affogano nella schiuma generale. Fra una pipì e un bagnetto.
«Voglio guardare il mondo e te che sei mio figlio - scrive sempre più ispirato - da un'altra prospettiva, quella della lentezza». Intanto, osserva da una prospettiva non proprio originale i big del Palazzo. A cominciare dal Cavaliere: «Mi avevano indignato i suoi comportamenti, mi indignavano le sue conoscenze, da Marcello Dell'Utri, poi condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, a Vittorio Mangano, mafioso e assassino che per qualche tempo lavorò stranamente ad Arcore». Poi, dopo Berlusconi, il Dibba si scaglia pure contro Giorgio Napolitano, pizzicato non solo, e ci mancherebbe, sul suo passato di comunista doc favorevole ai carri armati sovietici per le vie di Budapest, ma sempre sui capitoli in penombra della storia italiana. Vera ossessione del discepolo di Beppe Grillo: «Napolitano era ministro dell'Interno quando Licio Gelli, il maestro venerabile della loggia P2 condannato per depistaggio sulla strage della Stazione di Bologna, riuscì a fuggire all'estero. Napolitano non lo aveva fatto sorvegliare».
Poi, dopo aver dato una zampata anche a Gianfranco Fini, per cui stravedeva suo padre, Di Battista rientra nella cameretta di Andrea, dibatte di ninne nanne e, non contento, va indietro
rendendo trasparente, quasi in streaming, il momento magico e intimo del test di gravidanza. Fino alla battuta finale, questa sì riuscitissima: «Sei nato alla rovescia, Andrea, ma in un istante mi hai raddrizzato la vita».
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