L'eroe del Venezuela in salvo a Madrid

Asilo politico per González. E ora trema anche Machado, l'ultima leader anti-regime

L'eroe del Venezuela in salvo a Madrid
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Con l'esilio in Spagna di Edmundo González Urrutia, il candidato della Piattaforma Unitaria Democratica alle presidenziali del 28 luglio scorso, per il Venezuela si apre un nuovo capitolo. In base agli unici scrutini visti sinora dalla comunità internazionale e pubblicati dall'opposizione, con il 67% dei voti e l'83,5% delle schede scrutinate, quelle presidenziali le aveva stravinte proprio González Urrutia ma la notizia del suo esilio non deve sorprendere. È infatti dalla notte del 28 luglio, quando il consiglio elettorale chavista aveva proclamato il «trionfo» di Nicolás Maduro (senza sinora mostrare neanche un verbale elettorale) che il regime ha scatenato una repressione senza precedenti, almeno dagli anni Settanta, in America Latina con la cosiddetta operazione «Toc Toc», con cui ha iniziato a sequestrare anche in casa, di giorno e senza mandato (per strada e di notte lo faceva già da tempo) gli oppositori politici, gli scrutinatori dei seggi e chiunque non allineato con la dittatura di Caracas era sceso a protestare pacificamente in strada.

Da allora González si era rifugiato in gran segreto presso l'ambasciata dell'Olanda in Venezuela, per poi passare in quella spagnola dopo il 2 settembre scorso. Quel giorno, infatti, il Tribunale di Prima Istanza di Caracas competente per i crimini di terrorismo aveva approvato un'ordine d'arresto contro di lui, il tutto con il beneplacito del procuratore generale del regime Tarek William Saab, al vertice della piramide della giustizia del paese sudamericano, controllata al 100% da Maduro. Dopo una trattativa in cui ha avuto un ruolo chiave l'ex premier iberico José Luis Rodríguez Zapatero - che come l'ex giudice Baltasar Garzón e il cofondatore di Podemos, Juan Carlos Monedero è di casa al palazzo presidenziale di Miraflores - sabato notte González si è imbarcato su volo dell'areonautica spagnola per poi sbarcare, alle quattro del pomeriggio di ieri, nella base militare di Torrejón de Ardoz, a Madrid. Poche ore prima il premier spagnolo Pedro Sanchez, già sapendo dell'operazione di esfiltrazione, aveva definito Edmundo González «un ero» che «la Spagna non avrebbe abbandonato».

Con l'esilio di González, Maduro si è tolto un peso, come dimostra l'ordine per interrompere momentaneamente l'accerchiamento dell'ambasciata argentina a Caracas, dove i corpi dell'inteligence chavista da 48 ore hanno comunque tolto acqua ed elettricità. Nell'ambasciata argentina dal marzo scorso sono rifugiati sei oppositori apicali della struttura politica dell'ultima leader dell'opposizione rimasta in Venezuela, Maria Corina Machado.

Da oggi sul futuro del paese latinoamericano incombono due incognite. La prima è che ne sarà di Machado, che stando ai si dice sarebbe rifugiata anche lei in un'ambasciata occidentale. La seconda è quale sarà la reazione dei venezuelani rimasti in patria (8 milioni sono già fuggiti da quando nel 2013 Maduro è al potere). Di certo c'è che il ministro dell'Interno di Maduro, il «falco» Diosdado Cabello, ha commentato l'esilio di González con un mussoliniano «vinceremo!» che in realtà imita le principali dittature sue alleate, ovvero Cuba, Nicaragua, Cina e Russia. Quanto ai venezuelani, assisteremo a un ingente nuovo flusso di migranti, visto che l'ondata repressiva del regime non accenna a diminuire. I prigionieri politici certificati dalle ong sono infatti oltre 1.

800 (Maduro si vanta di avere sbattuto in galera oltre 2.500 «criminali fascisti»), mentre la Colombia ieri ha ribadito la sua disponibilità a concedere l'asilo politico a Machado, l'ultimo peso di cui Maduro vuole disfarsi.

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