L'Italia alza la voce ma Bruxelles non si scompone e lascia tutta la responsabilità della gestione degli sbarchi al governo italiano sempre più isolato. La corda dei rapporti con Bruxelles sembra sia sul punto di spezzarsi con conseguenze che non è possibile calcolare. L'Europa infatti non accoglie i reclami del governo giallo verde ma rispedisce al mittente l'ultimatum del vicepremier, Luigi Di Maio. «Non pagheremo più il contributo annuale di 20 miliardi alla Ue -aveva detto il ministro dello Sviluppo economico- se non si trova una soluzione immediata al caso Diciotti». E dall'Europa arriva una dura reprimenda sui modi intimidatori del grillino. «In Europa le minacce non servono a niente e non portano da nessuna parte», ha replicato ieri uno dei portavoce della Commissione Ue, Alexander Winterstein. «Lanciarsi accuse non è costruttivo - ha detto il portavoce- La Ue opera sulla base di regole non di minacce». Di Maio però non arretra e rilancia la promessa di non versare più i contributi alla Ue nonostante sia stato smentito anche dal ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. «Pagare i contributi all'Unione europea è un dovere legale dei membri», lo aveva ammonito il titolare della Farnesina. Winterstein dopo aver bastonato Di Maio ha assicurato che trovare una soluzione del caso Diciotti è una «priorità» per la Ue invitando tutte le parti coinvolte a lavorare insieme in modo costruttivo. Parole alle quali non seguono però i fatti perchè i rapporti del governo Lega-M5S con la Ue sono decisamente in caduta libera. Infatti la riunione degli sherpa tenuta ieri a Bruxelles si è chiusa con un nulla di fatto, anzi con un passo indietro. L'incontro dei consiglieri per gli Affari europei dei leader di 12 Paesi (Italia, Francia, Germania, Austria, Spagna, Portogallo, Lussemburgo, Olanda, Belgio, Malta, Grecia, e Irlanda) è servito soltanto a sottolineare l'isolamento del nostro Paese. E se è vero che il portavoce di Horst Seehofer, il ministro dell' Interno tedesco, ha tenuto a sottolineare che nulla poteva essere deciso in questa occasione è pure vero che l'Italia è stata messa all'angolo. Più di un consigliere avrebbe fatto notare che «i ricatti del governo italiano hanno peggiorato il clima». Dunque gli sherpa si sono rifiutati di sottoscrivere anche una semplice bozza di quella che era soltanto una dichiarazione d'intenti preparata dalla Commissione. Un documento che auspicava una gestione comune degli sbarchi e della ripartizione dei migranti. Nessun impegno formale ma soltanto l'espressione della volontà di dare seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di giugno. Insomma un passo indietro nelle trattative visto che il documento sottolineava la necessità di «sviluppare un meccanismo fondato sui principi di «solidarietà e responsabilità» su cui trovare un accordo «nelle prossime settimane». Ma le richieste italiane si sono trovate di fronte un muro anche perché molti dei rappresentanti degli altri Stati hanno fatto notare che il flusso di migranti pro-capite nel nostro Paese è al di sotto di quello di altri Stati membri. Dunque non ci sarebbe necessità di condividere la responsabilità.
A questo si aggiungono prese di posizione molto rigide come quella del Belgio che ha dichiarato che non accetterà «migranti illegali dalle barche in partenza dal Nord Africa». E anche la disponibilità della Germania all'accoglienza di una parte dei migranti della Diciotti è comunque condizionata dalle scelte degli altri paesi.
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