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L'Europa ci tormenta pure su Provenzano: «Troppo duri con lui»

Strasburgo critica il 41bis al boss Il governo: con la mafia nessuna pietà

L'Europa ci aveva bacchettato su tutto, ma mancava ancora una condanna per non aver trattato con il dovuto riguardo il capo di Cosa nostra. La lacuna è stata colmata e il più surreale dei verdetti punisce il nostro Paese per aver violato i diritti umani di Bernardo Provenzano. La sentenza, che si porta dietro una nuvola nera di polemiche, prende in considerazione gli ultimi quattro mesi di vita del boss di Corleone, fra il marzo e il luglio 2016.

In quel periodo un Provenzano, che ormai non c'era più con la testa, di fatto un vegetale o poco più, rimase un detenuto a tutti gli effetti, seppure curato in ospedale, e addirittura un carcerato sottoposto al regime del 41 bis. Per La Corte di Strasburgo, che è altra cosa rispetto alla Ue, lo Stato avrebbe dovuto inchinarsi davanti a quella situazione drammatica e terminale, revocando proprio il carcere duro e invece Provenzano mori al San Paolo di Milano mentre tutto l'apparato di controllo era ancora in funzione. Dunque, ci fu una lesione dei diritti fondamentali, anche se Strasburgo, forse comprendendo il crinale scivoloso su cui si muoveva, attenua la portata della sua riflessione escludendo un risarcimento per gli eredi del padrino. Il boss, secondo gli eurogiudici, era compatibile con il carcere, non con il rigore e la durezza del 41 bis. Un ragionamento sulla carta ineccepibile ma che non tiene conto del fatto che Provenzano era il numero uno di Cosa nostra, un simbolo della grande criminalità, inafferrabile per decenni e poi stracarico di ergastoli. Difficile separare fino in fondo il quadro clinico dal curriculum, il letto di dolore e di umiliazioni dalla fedina penale diventata, a suo modo, un'icona del malaffare. È quasi certo che, se si fosse trattato di un'altra persona, lo Stato sarebbe stato più comprensivo e meno rigido, ma qualunque concessione, anche la più piccola, avrebbe innescato scintille a non finire.

Le polemiche esplodono ora con i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che attaccano Strasburgo replicando in parallelo il duello sulla manovra economica con Bruxelles. Salvini va giù duro: «La Corte di Strasburgo ha condannato l'Italia perché tenne al carcere duro il signor Provenzano, condannato a 20 ergastoli per decine di omicidi, fino alla sua morte. È l'ennesima dimostrazione dell'inutilità dell'ennesimo baraccone europeo». In realtà la Corte ha avuto un ruolo decisivo nello stigmatizzare i ritardi, i pasticci e gli errori, i molti errori, compiuti dalla giustizia tricolore. Ma oggi qualcosa stride e ferisce l'opinione pubblica. «Non sanno di cosa parlano - polemizza Di Maio - I comportamenti inumani erano quelli di Provenzano». Sulla stessa lunghezza il Guardasigilli Alfonso Bonafede: «Il 41 bis non si tocca». E Giorgia Meloni (Fdi): «Ordinaria follia europea»

In realtà la questione è più circoscritta: non si contesta lo strumento in quanto tale ma la sua applicazione ad un boss famosissimo, ma ormai minato dal morbo di Parkinson.

«Il ministro - è la dura replica del legale di Provenzano, Rosalba Di Gregorio - forse non ha chiaro che il 41 bis è stato mantenuto ad un vegetale. E il diritto è stato calpestato». Un simbolo contro un principio. E ancora una volta l'Europa e l'Italia parlano due lingue diverse.

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