L'Europa contro la Polonia. Sembra il titolo di un film, o di una di quelle famose cause legali americane destinate a cambiare un capitolo di Storia. Ma con tutta probabilità, da questa sorta di chiamata a Canossa (pardon, a Bruxelles) della leadership del principale Paese dell'Est europeo non sortirà nulla di rilevante. E non perché manchino gli elementi per chiamare in causa Varsavia a rispondere di scelte in contrasto con i principi comunitari, ma perché le regole stesse della comunità degli Stati europei sono tali da rendere molto difficile l'attuazione di sanzioni.
La notizia, in sintesi, è questa: la Commissione europea, dopo quasi due anni di richiami a Varsavia per l'approvazione di una riforma della giustizia in odore di autoritarismo di Stato, ha deciso di proporre l'attivazione dell'articolo 7 del Trattato sull'Ue. Questo articolo prevede la proposta al Consiglio (l'istituzione europea composta dai capi di Stato o di governo e che ha funzioni di indirizzo politico) di valutare la sospensione dal Consiglio stesso della Polonia: in pratica, se la proposta fosse approvata, Varsavia perderebbe il diritto di influire nelle decisioni politiche dell'Ue fino alla revoca della sanzione. Una procedura che non è mai stata attuata nella storia comunitaria.
La Commissione Europea - si legge nel suo comunicato ufficiale - «ha concluso che esiste un chiaro rischio di seria violazione dello Stato di diritto in Polonia», e questo perché dopo l'approvazione della riforma giudiziaria «la magistratura si trova sotto il controllo politico della maggioranza di governo».
Varsavia reagisce con due voci. Da una parte quella conciliante del premier Mateusz Morawiecki, che guida un monocolore del partito nazionalista euroscettico di destra Pis che ha stravinto le elezioni dell'ottobre 2015, che definisce la Polonia «rispettosa dello Stato di diritto come il resto dell'Unione Europea» e l'attuale riforma giudiziaria «profondamente necessaria», assicurando di essere pronto ad accettare l'«invito» rivoltogli per il 9 gennaio a Bruxelles dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Dall'altra ci sono quella risentita e ostile della portavoce del Pis Beata Mazurek, secondo cui la decisione della Commissione è «politicamente motivata», ma soprattutto l'atto concreto del presidente della Repubblica Andrzej Duda (pure lui esponente del Pis), che ha sfidato Bruxelles apponendo come se nulla fosse la sua firma ad altre due leggi che limitano i poteri della magistratura.
E se Juncker ha tenuto bassi i toni, assicurando che «non siamo in guerra con la Polonia» e che «c'è bisogno di dialogo», il suo vice Frans Timmermans è stato più duro: Varsavia «ha tre mesi per fare retromarcia» e accogliere le raccomandazioni della Commissione per fermare «la violazione dello stato di diritto in Polonia».
Un'altra voce severa nei confronti del governo polacco arriva dal presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. Il quale non solo è a sua volta polacco, ma ha il dente avvelenato con l'attuale assetto di potere a Varsavia, avendo il Pis debellato il suo partito Piattaforma Civica - d'ispirazione liberale - alle ultime elezioni. Per Tusk «la devastazione della reputazione di Varsavia va fermata».
Estremamente
improbabile che ciò accada: l'Ungheria - il cui governo è assai affine politicamente a quello polacco - ha già annunciato che bloccherà l'iter Ue per le sanzioni facendo mancare l'indispensabile unanimità al Consiglio Europeo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.