«Premetto che questo argomento non fa parte del programma di governo, ma poiché in un dibattito mi è stata chiesta la mia opinione sono ben lieto di ripeterla». Carlo Nordio aveva cominciato così, venerdì scorso, l'intervista che lo ha fatto finire nel tritasassi: quella in cui tornava a indicare la necessità di intervenire sui codici antimafia per rimediare all'anomalia di un reato, il «concorso esterno», non previsto da nessun comma ma usato per processi e condanne. Quella premessa, come era prevedibile, non ha impedito che l'esternazione del ministro fosse interpretata come un annuncio, scatenando un diluvio di polemiche, e portando ieri la premier Meloni a chiarire quello che Nordio aveva provato invano a chiarire anche lui: «abbiamo altre priorità».
Il fatto che il presidente e il suo Guardasigilli dicano la stessa cosa non impedisce che la spiega della Meloni venga interpretata come una sconfessione delle parole di Nordio. Il quale così si trova a dover diramare una nota in cui garantisce che «con la Premier siamo e siamo sempre stati in perfetta sintonia». Il problema del concorso esterno, spiega, «è stato da me trattato nei miei scritti di questi ultimi venti anni» però «la sua revisione non fa parte del programma di governo, e infatti non è stata da me nemmeno prospettata nel discorso alle Camere». Le voci di chi dà il ministro per scaricato sono «ricostruzioni fantasiose e talvolta maligne» che puntano a «minare la nostra risolutezza nel portare a compimento le riforme sulla giustizia».
Tutto a posto, dunque? Non proprio. Perchè non sfugge a nessuno che nella breve dichiarazione della Meloni, come in quella del giorno precedente del vicepremier Matteo Salvini, si dice solo che la riforma del concorso non è in agenda. Non si aggiunge che però è necessaria, come invece ritiene Nordio. Anzi, il capo del governo sembra mettere sullo stesso piano le voci favorevoli e quelle contrarie, senza sposare nè le une nè le altre. Così la sostanza è che dei tre partiti della coalizione, Nordio abbia in questo momento, su questo delicato argomento, il sostegno pieno solo di Forza Italia. Che non è il partito che lo ha designato, ma che vede in lui una voce autorevolmente garantista, e anche ieri, tramite il capogruppo al Senato Licia Ronzulli, fa sapere che «il nostro appoggio al ministro Nordio è senza riserve, senza se e senza ma. Peraltro il concorso esterno è un reato che c'è solo in Italia e che non ha motivo di esistere». E il viceministro forzista Francesco Paolo Sisto, che pure conferma che la riforma non è in agenda, dice «condivido l'opinione del ministro: è difficile non criticare un reato che nasce dalla giurisprudenza senza che vi sia una norma che lo introduca nel sistema».
Certo, a sostegno di Nordio ci sono anche le posizioni di giuristi illustri che gli danno ragione in pieno, che considerano le condanne per concorso esterno estranee alla certezza del diritto. Ma ciò non toglie che Nordio in questa battagli garantista si senta certamente non solo, ma in minoranza sì, e che questo lo renda più vulnerabile agli attacchi e agli insulti che gli vengono dalle opposizioni, con i 5 Stelle che parlano di «farsa», «scempio», «assurda crociata» (comunicato congiunto delle capogruppo Valentina D'Orso e Ada Lopreiato) e col Pd che lo accusa «per ora abbiamo solo assistito a interventi tesi a indebolire tanti strumenti indispensabili per le indagini contro le mafie» (Vincenza Rando, segreteria nazionale).
Il problema, per Nordio, è che sul concorso
esterno può anche fare un passo indietro o almeno uno stop. Ma se questo tema, in fondo limitato, è la cartina di tornasole per la sorte della linea garantista con cui è entrato nel governo, prima o poi dovrà prenderne atto.
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