Dal Libano all'Europa la politica estera frastorna gli onorevoli

Franceschini: "Non c'era da discutere sul fatto che il Pd debba appoggiare Fitto..."

Dal Libano all'Europa la politica estera frastorna gli onorevoli
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Sullo scalone che porta al portone secondario di Palazzo Madama Antonio Tajani ci tiene a far sapere che il governo ha tutto sotto controllo. Spiega: «Non esiste l'ipotesi di riportare indietro i nostri soldati dal Libano... La nomina di Raffaele Fitto a Bruxelles come vice-presidente della Commissione non avrà problemi... E abbiamo già trovato l'accordo sulla manovra economica». È la religione dell'ottimismo ma con una congiuntura internazionale come l'attuale, stretti tra due guerre, con un'Europa che ancora manca di un governo, con il nostro maggior alleato gli Stati Uniti senza guida e con i nostri militari in Libano alle prese con l'intemperanza militare israeliana, o ti affidi al training autogeno o ti abbandoni allo sconforto. Visto il momento tragico non è proprio il caso.

E in fondo se non basta la politica c'è sempre «lo stellone» del Belpaese che viene in soccorso. Seduto su una poltroncina nel corridoio alle spalle della presidenza del Senato, Dario Franceschini, uno abituato a surfare sull'onda delle tante stagioni che si sono susseguite al vertice del Pd, canta l'elogio dei bei tempi andati. «Il problema - osserva - è che nella politica di oggi tutto è superficiale. A cominciare dalla politica estera. Eravamo abituati alla bocca buona di un tempo, ora non è più così. L'ipotesi di un ritiro dei nostri soldati dal Libano? Sarebbe fuori dal mondo, non sarebbe neppure un'opzione su cui discutere. E tantomeno ci sarebbe da discutere sul fatto che il Pd debba appoggiare la nomina di Fitto a Strasburgo». Un nostalgia che riecheggia in filigrana anche nei discorsi del capogruppo dei deputati di Fratelli d'Italia, Tommaso Foti. «In Libano - spiega parlando forse del tema più rischioso - l'intenzione è quella di restare. Certo c'è un'opinione pubblica disorientata ma non possiamo ripetere una ritirata come quella in Afghanistan che è stata all'origine di tutti mali». E poi torna sul tema Fitto, sul fatto che il Pd continua, almeno ufficialmente, ad essere poco chiaro sull'atteggiamento che terrà sulla nomina del vicepresidente. «Il vero problema - confida - è che una volta la politica estera la facevano i D'Alema ora le Schlein. È una questione di peso specifico».

In realtà non è cosi. Purtroppo negli anni del populismo, della polemica continua, della retorica grillina, dei duelli perpetui nei talk show devi dire che non sei d'accordo anche quando lo sei. E meno male che c'è «lo stellone», quell'ombra di buonsenso che sopravvive al di fuori delle aule parlamentari, che ci salva. Per cui nei dibattiti ci si scontra, nei corridoi no. «Certo che voteremo a favore della nomina di Fitto - confida il capo dei senatori del Pd, Graziano Delrio - come facciamo a votare contro. Torneremmo indietro di venti anni. È quello che vorrebbe la Meloni per questo ha battibeccato con me in aula». Ed ancora. Il ministro della difesa Guido Crosetto ha le idee chiare sul Libano: «Non ritireremo i nostri soldati». Ebbene, Delrio, sempre in Transatlantico, non ha dubbi: «Sul Libano Crosetto è perfetto». E se leggi in controluce le parole dello stesso Giuseppe Conte non sono così lontane. «Noi non possiamo lasciare sul Libano - dice - altrimenti lì si scatena il finimondo ma dobbiamo cambiare le regole d'ingaggio, con quelle attuali i nostri soldati sono in balia degli eventi. Sono a rischio». Poi, naturalmente, aggiunge la dose di polemica. «La verità - sostiene l'ex premier - è che se vogliamo portare la pace in Israele dobbiamo fare un embargo ferreo sulle armi». Qualcuno gli fa notare che la Meloni ha assicurato che dopo la reazione dell'esercito di Tel Aviv a Gaza non sono stati più autorizzati altri contratti di armi ad Israele. Risposta del leader grillino: «Campa cavallo e lei ci crede?».

Appunto nell'epoca dei talk show «intesa» è una parola che non deve esistere nel vocabolario della politica anche se si dicono le stesse cose. Ma la politica estera, diciamoci la verità, è fatta anche di parole e se si ha il coraggio di dire «su questo punto siamo d'accordo» si manda un segnale a livello internazionale. E una nazione che appare unita, sicuramente ha più peso di una nazione che sembra divisa. Questo vale per l'Europa come per il Libano o, ancora, per l'Ucraina.

Ma vai a spiegarlo ai grillini. Tempo perso. Solo che la situazione appare sempre più difficile ed è destinata a complicarsi di più. Racconta il piddino Vincenzo Amendola: «A New York con la Craxi abbiamo incontrato il vice del segretario generale dell'Onu, il numero due di Guterres. È chiaro che lì sotto il tappeto c'è sempre l'ipotesi del ritiro dell'Unifil. Sarebbe un errore come quello dell'Afghanistan che dobbiamo a Trump.

È la politica del disimpegno. Una politica che rischia di riproporsi vista l'aria che tira in America. Che Dio ce la mandi buona...». La media delle scommesse oltreoceano assegna la vittoria per il 55% a Trump e per il 43,9% alla Harris.

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