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Liberista e vicina agli Usa: l'Argentina nuova di Macri

Il Paese ha scelto il candidato di Cambiemos dicendo addio al peronismo. Tra le sue priorità: tagliare i suddisi e avviare nuovi accordi commerciali

Liberista e vicina agli Usa: l'Argentina nuova di Macri

Mauricio Macri 51,4%, Daniel Scioli 48,5%: la Calabria ha battuto il Molise nelle prime elezioni presidenziali argentine in cui i candidati erano tutti di origine italiana. Ma la sfida non era tra ex-paisà, bensì tra il vecchio partito peronista che, con qualche breve interruzione, ha dominato la politica del Paese dopo la fine della dittatura militare e una formazione completamente nuova, denominata Cambiemos, più liberista, più di destra e soprattutto promotrice della riforma di una economia che con 25 % di inflazione, un deficit del 6,7% e la prospettiva di una recessione nel 2016 stava di nuovo precipitando verso la crisi.

La vittoria di Macri, il candidato di Cambiemos, rappresenta una svolta storica nella politica argentina, la sconfitta di un regime nazional-populista che sotto la presidente uscente Cristina Fernandez e il suo defunto marito Nestor Kirchner, che negli ultimi dodici anni si erano succeduti alla Casa Rosada, era scivolato sempre più a sinistra, nazionalizzando le grandi industrie e i fondi pensione, manipolando spudoratamente magistratura e istituzioni, scontrandosi con i media e stabilendo uno stretto rapporto con il Venezuela di Chavez.

Ma nonostante una generosa distribuzione di risorse tra la parte più povera della popolazione che sembrava rendere il peronismo invincibile, Daniel Scioli, il successore designato di Cristina, non ce l'ha fatta. Gli elettori, con una partecipazione senza precedenti dell'80%, hanno deciso che era ora di voltare pagina, mettendo un argine a un assistenzialismo che l'Argentina non si può più permettere. Mauricio Macri, 56 anni, ingegnere, figlio di un magnate dell'industria, è arrivato alla presidenza dopo una carriera politica anomala. Ha cominciato ad occuparsi della cosa pubblica solo nel 1991, dopo essere stato rapito da una gang e riscattato dal padre con 6 milioni di dollari. Ha costruito la sua popolarità con la presidenza del Boca Juniors, la squadra di calcio più blasonata d'Argentina e nel 2008 è diventato sindaco di Buenos Aires, mostrando buone capacità di amministratore. Ma, quando ha deciso di tentare la scalata alla presidenza, riunendo sotto le sue bandiere quasi tutti i vecchi (e sgangherati) partiti di opposizione, nessuno avrebbe scommesso un soldo sulle sue possibilità di successo.

Nonostante i metodi aggressivi della Fernandez, che le avevano alienato buona parte della classe media, il peronismo appariva ancora troppo potente e troppo radicato nel Paese. Invece, dopo una campagna neppure molto brillante e poco aggressiva, ma capillare e bene organizzata, ha prima stupito il mondo politico costringendo, due settimane fa, Daniel Scioli a un ballottaggio che non aveva precedenti in Argentina e ora ha vinto conquistando la maggioranza del 22% di voti andato nel primo turno a Sergio Massa, un peronista ribelle che al pari di lui invocava un cambiamento di rotta. Macri è stato prudente, talvolta addirittura vago, nell'esporre il suo programma, perché per vincere doveva scrollarsi di dosso le accuse di volere smantellare lo stato sociale peronista e fare gli interessi della classe imprenditoriale. Ma ora dovrà passare all'azione, lasciando che il peso si svaluti, tagliando i sussidi e superando la politica autarchica dei Kirchner con nuovi accordi commerciali.

Avrà la vita difficile, perché i peronisti mantengono la maggioranza sia alla Camera, sia al Senato e detengono buona parte dei governatorati.La stessa Cristina ha già dato segnali di voler tornare in campo per contrastare il presidente liberale. Tuttavia, almeno per ora, il popolo è con lui, come testimonia la grande festa di domenica notte a Buenos Aires. Comunque vada, per l'Argentina sarà una rivoluzione.

Uno dei primi atti di Macri sarà infatti di sfilarsi dal gruppo di Paesi sudamericani di sinistra formato da Venezuela, Ecuador, Bolivia e (in parte) Brasile per riavvicinarsi a quell'America che, negli ultimi dieci anni, non aveva mandato a Buenos Aires nemmeno un ministro.

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