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La libertà non negoziabile di una guerra promessa

Taiwan è lì, come un presagio, come un destino che non si può evitare

La libertà non negoziabile di una guerra promessa

Taiwan è lì, come un presagio, come un destino che non si può evitare. Non sai come e quando ma un giorno, neppure troppo lontano, su quell'isola petrosa che spezza il Mare Cinese ci sarà la resa dei conti tra i due imperi che si stanno giocando le sorti del mondo. È una guerra promessa e al momento non si vede via d'uscita. Le conseguenze saranno drammatiche e imprevedibili. È una storia che in fondo si conosce dal 1949 quando il generale nazionalista Chiang Kai-shek, dopo vent'anni di guerra civile, fece di Formosa il suo ultimo rifugio. Mao si prese il resto della Cina e la battezzò comunista. Taiwan, protetta dalla flotta americana, divenne l'altra Cina, quella che si è rifiutata di arrendersi, un'anomalia, dove il mercato e il capitalismo non erano fuori legge e che dopo la dittatura militare ha scelto la democrazia. Taiwan ora è una terra ricca e assediata. È lì che vengono prodotti buona parte dei semiconduttori che fanno girare il nostro mondo virtuale. Gli Stati Uniti hanno giurato già allora che avrebbero difeso l'isola a qualsiasi costo. Pechino non ha mai smesso di rivendicarne la proprietà. Non esiste un'altra Cina. Taiwan è Cina. I tempi, dicono, sono maturi. Xi Jinping lo chiama «rinnovamento della nazione». Il destino di Taiwan è inevitabile e sarà realizzato. È da ottobre che stormi di aerei da guerra volano intorno all'isola. La riunificazione può essere vissuta come una scelta pacifica, la resa di chi sa che non ci possono essere alternative, oppure «la giusta punizione per chi ha dimenticato le proprie origini e tradito la madrepatria. Non faranno una bella fine». Allora la domanda è sempre la stessa: si può morire per Taiwan? La risposta di Joe Biden ha due facce e rischia di scontentare gli uni e gli altri. All'inizio riconosce la filosofia e le pretese di Pechino: esiste una sola Cina. Dice in pratica che la riunificazione è legittima. Ma se la Cina comunista attacca che succede? «La difenderemo come promesso». Raccontano che la risposta ha sorpreso perfino gli alti funzionari della Casa Bianca. È il metodo Biden, che porta ai limiti il confronto diplomatico, segnando le zone rosse che non è il caso di andare a toccare. Il problema è che su Taiwan si rischia di finire in una paradosso logico. Se le rivendicazioni di Pechino sono legittime come si può tutelare Taiwan? Qui la variabile è il tempo. Gli Stati Uniti pensano a un processo pacifico lungo. Taipei e Pechino un giorno torneranno insieme. Non si sa bene come. La Cina invece aspetta. La riunificazione è adesso. Taiwan in tutto questo non ha alcuna intenzione di arrendersi.

La libertà non è negoziabile.

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