E adesso in Libia dovrebbero andarci i caschi blu. Sette anni dopo la caduta del regime di Gheddafi grazie alle bombe della Nato è paradossale ammettere che abbiamo combinato un gran casino e deve intervenire l'Onu per peggiorarlo ancora di più. La richiesta impossibile e tragicomica è stata velatamente avanzata all'assemblea delle Nazioni unite dal ministro degli esteri libico, Mohamed Siala. Rappresentante di un governo riconosciuto dall'Onu e appoggiato fin dall'inizio dall'Italia, che evidentemente non sa più a che santo votarsi. Siala non ha auspicato direttamente l'invio dei caschi blu, ma chiesto che l'intervento fino ad oggi solo politico e poco incisivo dell'Onu si trasformi in missione di «sicurezza e stabilità». L'appello fa seguito al tentativo del premier Fayez al Sarraj di tirare per la giacchetta gli americani per mettere in riga le milizie, che si sono scontrate a Tripoli nelle ultime settimane. La fragile tregua è solo una soluzione temporanea, che certo non risolve il caos del Paese. Gli americani, però, non hanno alcuna intenzione di intervenire nel ginepraio libico e tanto meno i Paesi dell'Onu che dovrebbero fornire i caschi blu a cominciare dall'Italia. Uno scenario che ancora una volta conferma la profezia del colonnello Gheddafi durante la rivolta: «Mi rimpiangerete». L'Italia punta molto su una conferenza in Sicilia a novembre per riunire tutti gli attori libici che contano. Peccato che il generale Khalifa Haftar l'uomo forte della Cirenaica, che molti vedono come salvatore pure a Tripoli sembra sia pronto a dare forfait. Se così fosse la conferenza italiana, lanciata come panacea per tutti i mali, sarebbe morta in partenza. Una figuraccia per il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che era volato a Bengasi per convincere il generale a partecipare all'iniziativa italiana. Non solo: l'ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Perrone, è in «ostaggio» a Roma per rabbonire Haftar che aveva chiesto la sua testa dopo alcune dichiarazioni probabilmente manipolate. L'Italia è giustamente convinta che tenere le elezioni libiche il 10 dicembre sia una tragica farsa. Haftar e i suoi padrini francesi sposano la linea delle urne a tutti i costi. Il presidente Emmanuel Macron ha ribadito all'Onu che la Francia è per le elezioni subito, come era per i bombardamenti subito sulla testa di Gheddafi, ai tempi di Sarkozy.
Non a caso la nuova ambasciatrice francese a Tripoli si sta muovendo con disinvoltura in questa direzione. Un motivo in più per far tornare Perrone in sede senza nascondersi dietro il dito della «sicurezza», sempre labile in Libia, che viene comunque garantita dai carabinieri paracadutisti.
Altrimenti rischiamo che la Guardia costiera locale, con un governo sempre più debole, allenti la morsa sui barconi dei migranti e i trafficanti riaprano un varco verso l'Italia.
Astral, l'ennesima nave delle Ong che ci riprova in queste ore a fare rotta verso la Libia, non aspetta altro. E se la situazione a Tripoli e nel Paese tornasse a precipitare non basterà la chiusura dei porti a casa nostra per fermare una nuova, possibile «bomba» migranti.
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