In Libia continua la battaglia Haftar: "Avanti fino a Tripoli"

Scontri alle porte della capitale. Serraj si fa fotografare tra i militari, ma segnalate defezioni tra soldati e piloti

In Libia continua la battaglia Haftar: "Avanti fino a Tripoli"

È ormai guerra tra le «due Libie», quella dell'Esercito nazionale libico dell'ambizioso generale di Bengasi Khalifa Haftar e quella sostenuta da un variegato mosaico di milizie indipendenti trincerata in Tripolitania a sostegno del capo del Consiglio presidenziale libico Fayez el-Serraj, che gode del sostegno internazionale ma è obiettivamente più debole sul terreno. I combattimenti, cominciati giovedì a pochi giorni dal previsto avvio a Ghadames della Conferenza nazionale sul futuro del Paese nordafricano, divampano in diverse località ad alcune decine di chilometri da Tripoli, ma in serata la situazione si è aggravata, con sparatorie ed esplosioni udite vicino all'aeroporto internazionale di Mitiga. La Gran Bretagna ha chiesto la convocazione d'urgenza del Consiglio di Sicurezza dell'Onu per ieri sera, e il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, è arrivato nel pomeriggio a Bengasi per conferire con Haftar e cercare di disinnescare una crisi che sta diventando molto pericolosa.

Al momento non sembra che Haftar abbia alcuna intenzione di tirare il freno. Ahmed al Mismari, portavoce dei militari a lui fedeli, ha detto ieri pomeriggio che l'Esercito nazionale libico (Lna) fermerà la sua marcia «solo dopo aver conquistato Tripoli». Un concetto che l'uomo forte della Cirenaica ha ribadito allo stesso preoccupatissimo numero uno dell'Onu: «L'offensiva finale contro i terroristi (le milizie fedeli a Serraj, nda) continua». Così, mentre Haftar e Guterres discutevano senza costrutto a 1.500 chilometri di distanza nel capoluogo della Cirenaica, a Sud della capitale i combattimenti vedevano coinvolti non solo forze di terra, ma anche l'aviazione. Il fronte è in movimento. Dopo dure battaglie una cinquantina di chilometri a Sud di Tripoli, sembra che l'avanzata dell'Lna si sia arrestata dopo aspri scontri poco più a Nord, e in modo particolarmente significativo nei pressi dello strategico Checkpoint 27 lungo la strada costiera vicino a Zawiya, dove lo stesso Serraj è andato a farsi fotografare accanto ai militari che lo avevano riconquistato. Oltre cento uomini dell'armata di Haftar sono stati fatti prigionieri, ma Serraj ha difficoltà a mantenere unito il fronte militare e politico che lo difende: si segnalano defezioni tra i miliziani e anche tra i piloti dell'aviazione cui era stato ordinato di attaccare la lunga colonna di blindati che si avvicinava alla capitale. Troppo forti sono le differenze di vedute tra le numerose milizie che stanno nel campo tripolino rispetto alle modalità di confronto con Haftar.

In realtà è difficile dire se siano più preoccupanti le notizie che aggiornano sugli sviluppi dei combattimenti fratricidi in Libia o le voci di politici e diplomatici che si occupano della crisi. Al Mismari ha accusato Londra, che ha ottenuto la convocazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, di «difendere i terroristi». Fathi Bashagha, ministro dell'Interno di Serraj, ha indicato «un Paese arabo» (è probabile che si riferisca agli Emirati) come istigatore di Haftar ad attaccare Tripoli. Silvio Berlusconi chiede di «evitare un nuovo conflitto che causerebbe nuove perdite di vite umane. Serve un intervento dell'Unione europea che porti alle elezioni, non ad azioni armate». La Russia, che sta dalla parte di Haftar, nega di sostenere la decisione del generale bengasino di tentare la spallata finale a Serraj e chiede una tregua «per evitare un bagno di sangue».

Serraj parla di «contatti in corso con Haftar». Ma la voce più inquietante è quella di Guterres al suo commiato da Bengasi: «Riparto ha detto con il cuore pesante, sono molto preoccupato. L'Onu sarà vicina al popolo libico qualunque cosa accada».

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