D oveva essere il segnale di una nuova alba, ma è un nuovo salto nelle tenebre. Le tenebre d'una Libia dilaniata dalla guerra per il controllo dei traffici di petrolio e segnata dall'ombra di una Russia sempre più propensa a puntare sul generale Khalifa Haftar. Uno scenario ad alto rischio per gli interessi di un'Italia orfana dell'America di Obama. A 48 ore dalla riapertura della nostra rappresentanza diplomatica a Tripoli e dall'insediamento dell'ambasciatore Giuseppe Perrone, la capitale libica è di nuovo nel caos. Intensi scontri sono segnalati attorno ai ministeri della Difesa, della Giustizia e dell'Economia attaccati, secondo quanto trapelava ieri, da milizie fedeli a Khalifa Gwell, il capo del governo islamista rimosso lo scorso 31 marzo per far posto all'esecutivo di Unità Nazionale guidato da Fayez Serraj, il premier appoggiato dall'Onu e dall'America.
Gwell, che già il 15 ottobre aveva occupato tv e palazzi di governo nel tentativo di riprendere il potere, potrebbe aver scommesso sul diffuso risentimento verso un Serraj incapace non solo di controllare il Paese, garantire l'ordine pubblico e ripristinare la produzione di petrolio, ma anche di garantire servizi basilari come la corrente e le forniture di gas e cherosene per il riscaldamento. Un risentimento esacerbato negli ultimi giorni dall'ondata di freddo. Ovviamente Gwell e le milizie potrebbero essere gli stessi che nei giorni scorsi hanno contribuito a far lievitare il malcontento assaltando il gasdotto essenziale per il funzionamento di quella centrale elettrica di Zawia da cui dipende l'approvvigionamento energetico di Tripoli e di vaste aree del Paese.
Al cuore del problema c'è l'incapacità di Serraj di bloccare quel contrabbando di petrolio con cui si finanziano non solo le milizie islamiste di Gwell, ma anche quelle, non meno islamiste, fedeli al suo esecutivo. Non a caso il blocco della centrale Zawia e gli assalti di ieri arrivano dopo la minaccia del premier di chiedere l'appoggio della missione navale europea per bloccare porti e approdi del contrabbando. Ma la mossa di chi ha guidato l'assalto è anche un'indiretta risposta al viaggio del nostro ministro dell'Interno Marco Minniti a Tripoli. L'arrivo del politico italiano che da tre anni gestisce il complesso dossier libico e l'immediata riapertura della nostra ambasciata erano un segnale di come l'Italia fosse pronta a sostenere il governo Serraj. La scommessa di Minniti, già assai difficile per l'ambiguità dei capibanda fedeli a Serraj, è resa ancor più complessa dall'uscita di scena dell'amministrazione Obama che ha sempre riconosciuto all'Italia un ruolo guida nella tessitura delle strategie libiche. Un'Italia che rischia di ritrovarsi a fronteggiare la sfida di una Russia decisa ad approfittare della transizione Obama-Trump per giocare la carta Haftar.
Non a caso mentre Tripoli precipitava nel caos il capo di stato maggiore delle forze di Tobruk veniva traghettato a bordo della ammiraglio Kuznetsov, la portaerei russa arrivata nelle acque della Cirenaica dopo i bombardamenti in Siria. Un segnale che Minniti, attento lettore delle questioni libiche, non potrà trascurare. Del resto proprio Minniti aveva prospettato tra il 2014 e gli inizi del 2015 una politica libica assai vicina alle istanze di quell'Egitto del presidente egiziano Al Sisi, diventato oggi il miglior alleato di Mosca.
Un ritorno al passato che vista la debolezza di Serraj, la rapida evoluzione dello scenario americano e l'importanza non solo degli idrocarburi libici, ma anche del gas scoperto dall'Eni davanti alle coste egiziane, sarà forse interessante accelerare.
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