L'identikit sorprendente dei nuovi contestatori: giovani e con il posto sicuro

Sondaggio "Swg" sui manifestanti pro Gaza. Soltanto uno su cinque è un over 64 anni

L'identikit sorprendente dei nuovi contestatori: giovani e con il posto sicuro
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Non erano la solite marce dei centri sociali (o non solo) né una favola dei buoni contro i cattivi: le piazze su Gaza erano più miste, più confuse e forse più "autentiche" del previsto. Secondo Swg (8-10 ottobre 2025) non ha manifestato solo un'orda di studenti in kefiah, ma un corpo sociale eterogeneo: gli uomini sono il 49%, le donne il 51%, la fascia 18-34 anni è la più visibile (22%) ma subito dietro ci sono i 55-64enni (15%) e gli over 64 (22%) con il resto distribuito tra 35-44 e 45-54 anni. La sorpresa è il dato occupazionale: il 57% dei manifestanti ha un lavoro stabile contro appena il 9% di occupati precari e il 14% di pensionati. Gli studenti sono il 9%, i disoccupati l'8%. Non proprio il ritratto di una minoranza marginale.

Anche la mappa politica smentisce i luoghi comuni: il 38% dei manifestanti si colloca nell'area del centrosinistra (15% sinistra, 23% centrosinistra), il 17% nel centrodestra (11% centrodestra, 6% destra), mentre un 15% dichiara di non riconoscersi in nessuna area politica. Solo il 20% si definisce di centro. È una piazza trasversale, irritata, più popolata da elettori comuni di quanto la cronaca abbia fatto credere.

C'è anche un tentativo di censire le emozioni. Prevalgono sconforto (50%), rabbia (22%) e amarezza (14%), mentre solo l'11% si dice "sereno" e appena il 2% "entusiasta". Le cause del malumore: le guerre (43%) e però, quasi a pari merito, l'economia e la stagnazione dei salari (30%). In altre parole, Gaza è un detonatore e non la radice.

Normale che la politica abbia fatto a gara per intestarsi la protesta o prendersene le distanze. Qui c'entra ovviamente anche un ruolo dei media: le prime immagini hanno mostrato perlopiù striscioni estremisti alla testa dei cortei, la Cgil e l'Usb hanno proclamato poco comprensibili scioperi "per Gaza" e hanno tentato la vecchia saldatura fra lotta operaia e geopolitica. Il Movimento 5 Stelle, come ci ha abituato, non ha detto niente di interessante. In ambienti ecclesiastici si è parlato di "risveglio morale dei giovani" cercando di benedire un moto sfuggito di mano. Un po' tutti, da destra a sinistra, hanno provato a mettere il cappello sulle piazze: per condannarle o per appropriarsele, secondo il pubblico di riferimento.

La Verità, lunedì, ha descritto il centro sociale Askatasuna (Torino) come regia occulta della guerriglia permanente: il che è vero molto genericamente anche se, in questo caso, i numeri dicono altro; se la protesta fosse stata monopolizzata dagli antagonisti, infatti, non ci troveremmo davanti a un campione dove oltre la metà, attenzione, ha un contratto a tempo indeterminato, un quinto è over 55 e quasi un sesto vota per il centrodestra. Il dato reale racconta un'Italia che lavora, paga le tasse, fatica tipicamente ad arrivare a fine mese e si sente, ancor più tipicamente, poco rappresentata.

Ci sarebbe poi la questione della selettività morale, che in parte è normale (o fisiologica) ma nel caso di Gaza è davvero macroscopica: chi s'indigna per i palestinesi raramente ha alzato un sopracciglio per le decine di migliaia di morti in Sudan, Myanmar o Etiopia, dove le stragi durano da anni nel silenzio mediatico: ancor più paradossale è il gelo sull'Ucraina, teatro di massacri a poche centinaia di chilometri da casa nostra con bambini e civili fatti a pezzi come altrove. La guerra "più vicina" fisicamente e politicamente è scomparsa dai radar delle generazioni che proclamano il risveglio etico per Gaza. L'empatia globale funziona come un algoritmo: amplifica ciò che è visibile, cancella ciò che non fa tendenza. Il tanto celebrato salto di coscienza rischia di essere solo un riflesso condizionato dai feed, non una maturazione civile.

I dati Swg parlano piuttosto chiaro, alla fine: c'è una popolazione sconfortata che si riconosce poco nei partiti e usa la piazza come ultima valvola di

sfogo. In maggioranza non è un esercito ideologico, né un'orda di teppisti, ma un'Italia reale che si muove da sé. E' proprio questo il fatto che non si muova a comando a cui la politica dovrebbe mostrare più attenzione.

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