
La tregua è scattata nella notte tra giovedì e ieri, con l'approvazione da parte del governo israeliano dell'accordo che prevede il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio da parte di Hamas di tutti gli ostaggi, vivi e morti. Poche ore dopo, alle 12 ora locale (le 11 italiane) l'Idf ha annunciato di aver completato il ritiro dalla cosiddetta "linea gialla", posta 5 chilometri dietro al confine. L'operazione è avvenuta con la copertura di bombardamenti di artiglieria e attacchi aerei. Alcune forze sono state completamente ritirate da Gaza, mentre altre rimarranno nelle posizioni lungo le linee di schieramento.
Un mezzogiorno di non-fuoco, insomma. Che fa seguito all'ultima notte di bombardamenti nella Striscia, con almeno 17 vittime palestinesi refertate dal ministero della Salute di Hamas e un bilancio, si spera a questo punto definitivo, di 67.211 morti dal 7 ottobre 2023. E un mezzogiorno a partire dal quale si può finalmente dire che dopo 735 giorni la pace è scoppiata nella martoriata Striscia e che fa scattare il conto alla rovescia per il rilascio da parte di Hamas di tutti gli ostaggi vivi, che dovrebbero essere venti, e che scadrà quindi a mezzogiorno di lunedì. Israele rilascerà invece 250 terroristi palestinesi detenuti, dei quali ieri il ministero della Giustizia israeliano ha reso noto l'elenco.
C'è fermento per quello che sarà un momento dall'altissimo valore simbolico ed emotivo, soprattutto in Israele. Il delegato del governo israeliano per gli ostaggi Gal Hirsh e il capo della Croce Rossa in Israele Julien Lerisson hanno ieri avuto un colloquio sui preparativi per lo scambio. Gli ostaggi una volta liberi dopo oltre due anni di prigionia saranno inizialmente ricoverati nel Centro Medico Sheba-Tel HaShomer a Tel Aviv con le loro famiglie per accertarne le condizioni mediche e iniziare l'eventuale riabilitazione, struttura che ieri ha ricevuto la visita del primo ministro Benyamin Netanyahu, che ha anche incontrato soldati dell'Idf feriti durante la guerra. "Siete degli eroi", ha detto loro il premier.
Dopo il mezzogiorno della liberazione decine di migliaia di famiglie che si erano radunate sulla collina di Nwairy, vicino alla valle di Gaza, punto di separazione tra Sud e Nord della striscia, in attesa di buone notizie. Quando queste sono arrivate, hanno preso a muoversi facendo ritorno a Gaza City. Un controesodo gigantesco, un moto collettivo di un popolo spaventato, ferito, privo di quasi tutto epperò ieri sollevato e speranzoso. "Tre settimane fa, quando Israele ha ordinato alla popolazione di tornare a sud e Gaza City è tornata a essere un campo di battaglia, la mia casa era ancora in piedi. Spero di ritrovarla ancora così", dice un uomo.
C'è soddisfazione, c'è felicità, ognuno guarda il suo bicchiere mezzo pieno dopo due anni di sete. Eppure qualcosa potrebbe ancora andare storto e i prossimi giorni saranno molto delicati, come spieghiamo nell'articolo a fianco. Ieri Netanyahu malgrado il giorno di festa ha usato toni minacciosi: "Stiamo stringendo Hamas da ogni lato in vista delle prossime fasi del piano, che prevede il suo disarmo completo e la smilitarizzazione di Gaza. Se ciò sarà raggiunto in modo pacifico, tanto meglio. Se no, sarà raggiunto con la forza". Hamas da parte sua mette i suoi paletti: "Stiamo monitorando il ritiro dell'esercito israeliano in conformità con l'accordo. I palestinesi hanno confermato che ostacoleranno qualsiasi tentativo di sfollamento. Non daremo a Israele alcuna scusa per tornare in guerra".
Il gruppo islamista ha anche dichiarato di non avere "intenzione di svolgere alcun ruolo nel futuro dell'amministrazione della Striscia di Gaza ma sul disarmo sono necessarie delle trattative". Trump sembra intenzionato a fare il garante di entrambi, pur di non sciupare il suo momento di gloria al profumo di Nobel. Dell'anno prossimo, a questo punto.