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L'illusione della sinistra: nell'agenda Draghi non c'è nulla di sinistra

Il piano di riforme lasciate dal premier, dall'energia alla Pa, non ha colore politico. Il Pd dopo averlo tirato per la giacchetta prova a intestarsi la sua eredità

L'illusione della sinistra: nell'agenda Draghi non c'è nulla di sinistra

Il premier Draghi non ha lasciato un'agenda, ma due. Una sulle cose da fare, l'altra sul modo di farle. Nessuna delle due è etichettabile, né modificabile, da chi mira a intestarsi il prossimo Governo.

Le cose da fare non le ha decise Draghi, ma sono imposte al Paese dalla congiuntura sociopolitica. Aver costruito una macchina perfetta per vaccinare 3 volte ogni italiano non è stata una scelta ma l'esecuzione di un dovere. Sul Pnrr, l'esecuzione delle riforme non è una volontà del Governo, ma il compito che il Paese ha assunto verso chi ci metterà a disposizione 200 miliardi.

Nella narrazione della politica pre-Draghi, la parte più importante del Piano, se non addirittura l'unica, stava nei soldi da spendere a destra e a manca, in buona misura comunque a debito di figli e nipoti. Invece la parte fondamentale sta proprio nelle riforme, che non sono né di destra né di sinistra. Virare la politica energetica dell'Italia non ha colore politico, ma risponde a scelte di sicurezza nazionale e di costo dell'energia. Che colore ha trasformare l'amministrazione pubblica da ostacolo a semplificazione della vita di cittadini e imprese? Sono interventi di ammodernamento e adattamento dei meccanismi del sistema-Paese, che da decenni sappiamo essere irrinunciabili e alla base della mancata crescita. Uno stallo che ha prodotto un esodo di giovani cervelli a dir poco disastroso per il futuro dell'Italia. Sono loro quelli da fermare, trasformando il Paese, non i disgraziati che sbarcano. Eppure nessun governo di questo secolo è mai riuscito a riformare le varie componenti del sistema. Perché in un Paese demograficamente vecchio ed economicamente ricco, definito dal sociologo Luca Ricolfi una società signorile di massa, ci sono ovunque gruppi di resistenza che puntano a mantenere lo status quo, le proprie piccole rendite di posizione. Intendiamoci, non sono posizioni ascrivibili seriamente a ideologie di destra o di sinistra. È solo che politici modesti, a volte di destra e altre di sinistra, si mettono a capo delle varie resistenze per trarne qualche beneficio elettorale. L'abbiamo visto anche con i no-vax. Poi ci sono casi in cui si ritrovano tutti insieme a resistere, come a Livorno per il rigassificatore.
Insomma, così com'è stato difficile tirare per la giacchetta Draghi, allo stesso modo lo è per la sua agenda operativa, in cui è pure difficile scriverci altro, come i vari ius di ispirazione tardo-liberal anni '70.

L'altra agenda, non scritta, è forse ancor più determinante. Un anno e mezzo di Governo Draghi ha lasciato un segno nel modo di governare e di affrontare le asperità tipiche di una repubblica parlamentare. La gente ha sentito per tre volte sul braccio che la macchina vaccinale funzionava e meglio di ogni altro Paese. Ha ascoltato in tre occasioni che le scadenze del Pnrr, che nemmeno sapeva quali fossero, erano state tutte rispettate e dunque l'assegno sarebbe arrivato: c'è differenza col 2,04% di deficit del Conte uno. I cittadini hanno capito che c'è un altro modo, quello serio, competente, che senza urla né slogan riesce a far accadere le cose.

Le posture populiste sono auspicabilmente al tramonto e le urne potrebbero riservare una sorpresa, come al solito. Il campione dei Cinque Stelle, bandiera dell'incompetenza e dell'assenza di idee, con fine acume politico ha intuito prima di tutti e platealmente che un certo modo di fare politica è agli sgoccioli. Sicuramente anche gli altri stanno capendo che i cittadini ne hanno abbastanza di agitatori di piazze.

L'Italia resta la patria della moda, ma dubito che vedremo sfilare ancora delle felpe.

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