«Problemi no, borbottii sì». Nella Lega qualcuno prova a ridimensionare la portata dei malumori, ma intanto deve ammetterlo: un pezzo del partito, in Lombardia, non ha digerito bene il «coprifuoco» che scatta domani, e questo pezzo di Lega riottosa è vicina al leader Matteo Salvini.
Molti si sono morsi la lingua, qualcuno ha esternato questa perplessità, comunque ha creato sorpresa e imbarazzo la scelta di Palazzo Lombardia, che lunedì sera - tre giorni dopo l'ordinanza del governatore Attilio Fontana a meno di 24 ore dall'ennesimo Dpcm del premier Conte - ha improvvisamente deciso di chiedere al governo un nuovo giro di vite. Pure il divieto di sport di contatto hanno fatto storcere il naso a tanti impegnati nei territori. E la chiusura di palestre e piscine viene vista come un'ipotesi terrificante dal punto di vista economico. Lo stesso Salvini ieri non ha nascosto una certa irritazione, ma alla fine ha dovuto «ingoiare il rospo», barcamenandosi fra la voglia di essere coerente con la sua linea aperturista - sposata da molti esercenti e commercianti - e la necessità di non smentire la decisione della più importante Regione governata dal Carroccio. «A me la parola coprifuoco non piace - ha ammesso nel corso di una manifestazione davanti alla sede dell'Inps - Le limitazioni delle libertà personali devono essere l'ultima spiaggia», per poi aggiungere: «Se le Regioni e i Comuni sono costrette a chiudere è perché sul Tpl, che è la vera emergenza, il governo non ha fatto nulla e perché sulla scuola e sul sostegno alle imprese ha fatto poco e male». D'altra parte sono passati solo quattro giorni da quando venerdì a Rho aveva bocciato categorico l'ipotesi, spiegando che «il coprifuoco si fa in tempi di guerra». «Mi sembrano cose strampalate». E ieri sera ha incontrato Fontana: «Ho ora una riunione con il governatore e coi consiglieri regionali - ha detto - per capire, prima di chiudere io voglio capire». I borbottii sono comprensibili dunque, almeno quanto la nuova scelta di Fontana. A nessuno sfugge come, in una decina di giorni, la situazione sanitaria sia tornata rapidamente a deteriorarsi. I sindaci dei capoluoghi (i più grandi sono del Pd) hanno molto spinto in questa direzione. E anche gli esperti del Cts regionale, prospettando alla giunta lombarda uno scenario da incubo, con 6mila pazienti negli ospedali e 800 ricoverati nelle terapie intensive fra due settimane. A dire il vero, il Comitato tecnico scientifico avrebbe voluto misure anche più drastiche, come la chiusura alle 21 (alle 18 dei bar). Fontana quindi ha mediato fra esigenze diverse, l'impatto, comunque, c'è stato. Qualcuno al Pirellone ha incassato, altri hanno manifestato apertamente queste perplessità. «Capisco perfettamente la necessità di contrastare l'epidemia in atto - ha detto lunedì sera il consigliere Gianmarco Senna - ma nello scegliere le misure da adottare la Regione deve ascoltare le parti produttive della società. Come presidente della Commissione attività produttive questo è il mio compito più importante ed urgente». «Senza sconti per nessuno».
Anche la delegazione lombarda di Fdi ha parlato di «perplessità» sulle misure.
«Ci sembra che si stia seguendo troppo da vicino quelle linee guida già espresse dal governo, che noi abbiamo criticato e considerato poco utili». E il coordinatore milanese di Fdi, Stefano Maullu, ha dichiarato di aver appreso della proposta lombarda «con amarezza e grande perplessità». «Pensiamo che andrà a risolvere ben poco».
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