Politica estera

"L'incriminazione? Test per la democrazia Usa"

Il docente alla Luiss: "Rischio violenze. I nemici d'America cavalcheranno le divisioni"

"L'incriminazione? Test per la democrazia Usa"

Un evento storico, una prova per la democrazia americana, che poco cambierà dal punto di vista concreto, almeno nell'immediato, per Donald Trump, ma che regalerà un assist ai nemici degli Stati Uniti. Così Gregory Alegi, docente di Storia e Politica degli Stati Uniti alla Luiss di Roma, vede la giornata di domani, l'udienza al tribunale di Manhattan, durante la quale saranno notificate a Donald Trump le accuse per le quali è stato incriminato.

Sarà la prima volta che un ex presidente degli Stati Uniti varcherà la soglia di un tribunale.

«Ovviamente sarà un momento a dir poco imbarazzante, addirittura umiliante per un ex presidente. Un momento che rischia di rendere meno solida la posizione degli Stati Uniti agli occhi esterni, a prescindere dagli esiti. Ma dal punto di vista concreto, cambierà davvero poco. Trump andrà a farsi arrestare scortato dai servizi segreti, protezione che gli garantisce la Costituzione come ex presidente. Dovrà essere riconosciuto, si farà una scheda segnaletica. Ma gli avvocati chiederanno la scarcerazione, perché un ex presidente che vive con la scorta non presenta rischio di fuga. Trenta secondi e uscirà».

Molto rumore per nulla? Che prova è questa per la democrazia americana?

«Dipende da come gli americani la affronteranno. Se riusciranno a trattare un processo a un ex presidente come un fatto qualunque, senza disordini, sarà una prova superata per la democrazia. Se non l'accetteranno, sarà un danno».

Quanto è alto il rischio di violenze?

«New York è blindata e la zona in questione è ben difesa e perimetrata. È improbabile che si lascino cogliere di sorpresa. Il punto è che gli Stati Uniti sono grandi e questo lascia temere che in qualche località qualcosa possa succedere. Qualcuno potrebbe svegliarsi male in Texas o in Arizona. Quanto all'incriminazione, finalmente scopriremo davvero come è costruita l'accusa e i fatti per i quali Trump è incriminato. Finora abbiamo avuto solo indiscrezioni».

Trump ha raccolto 4 milioni di dollari in 24 ore dopo l'incriminazione. Sarà un exploit per la sua campagna elettorale? O gli si ritorcerà contro?

«Finora l'ex presidente è stato molto abile a sfruttare tutti gli attacchi in suo favore. È un combattente ed è possibile che l'incriminazione lo trasformi in martire e lo aiuti. Ma le cose potrebbero cambiare alle prime udienze o se dovesse andare a testimoniare al processo. Se si esprimesse come fa nelle manifestazioni pubbliche, rischierebbe di danneggiare la sua posizione. Se si appellasse al V emendamento e non dicesse nulla, come ha fatto finora per ben 400 volte quando è stato chiamato a deporre in un procedimento civile a New York per questioni fiscali, rischierebbe di sembrare debole, come se avesse qualcosa da nascondere. Il vero cambiamento ci sarà quando si aprirà il processo».

Quando è plausibile si arrivi a dibattimento?

«Adesso partiranno le misure tecniche per sollevare eccezioni e rinviare la data di inizio. È da sempre la strategia di Trump. Potrebbero, quindi, volerci dei mesi. Credo non vedremo nulla prima dell'autunno. Ma poi Trump dovrà studiare con i suoi legali la strategia. Con i rinvii, il processo potrebbe arrivare in un momento scomodo».

Di mezzo c'è la nomination per la Casa Bianca...

«E Trump dovrà decidere se tentare di oltrepassare quella data, tra un anno e mezzo circa, o togliersi il dente subito. Nel frattempo, però, è possibile che uno degli altri procedimenti, come quello delle interferenze sulle presidenziali 2020 in Georgia, vada a dibattimento e magari sarà deciso e farà rumore ancora prima di questo».

Come si inserisce l'incriminazione nel panorama internazionale? Che momento è per gli Stati Uniti?

«Il Paese è in un momento di transizione, con il presidente Biden che cerca di ricucire i rapporti internazionali. Ed è chiaro che un evento come l'incriminazione formale di un ex presidente, già molto divisivo come Trump, rende più difficile la transizione. Le liti e la contrapposizione interna danneggiano il Paese e mettono un'arma in mano ai nemici degli Stati Uniti che, come fatto in passato, utilizzeranno qualsiasi appiglio, specialmente sui social network, per amplificare i messaggi divisivi.

A loro non interessa che vinca l'una o l'altra parte, ma che gli americani litighino fra loro».

Commenti