Cronache

L'indifferenza di Stato complice dei femminicidi

La Corte europea dei diritti umani ci condanna: basta sottovalutare le denunce delle donne

L'indifferenza di Stato complice dei femminicidi

Siamo solo all'inizio del 2018 e la Corte europea dei diritti umani ha nuovamente condannato l'Italia perché le sue «autorità non hanno agito con la necessaria scrupolosità e non hanno preso tutte le misure necessarie per prevenire gli abusi di cui è stata vittima V.C.», quindicenne. E così, mentre nel nostro Bel Paese si sprecano vacue parole di solidarietà da parte di chi ci governa, ogni giorno devo rassegnarmi a constatare l'inerzia delle Autorità rispetto ad obblighi positivi di intervento per reprimere ma, soprattutto, prevenire atti criminali di violenza domestica. É inammissibile, quando una donna chiama un Agente di Polizia perché si sente in pericolo, che l'intervento si limiti alla redazione di un verbale di servizio e, se va bene, ad un semplice ammonimento e poi tutti a casa, come prima. Reprimere la violenza domestica rispettando pienamente le vie legali si può e lo si deve fare.

Secondo me, ma come me la pensa anche la Corte Europea dei diritti dell'uomo, non ci si può fermare ad un accertamento formale e routinario ma si deve svolgere una severa valutazione di pericolosità per non consentire ad un individuo violento di tornare a casa in attesa dei provvedimenti del Magistrato.

Sono anni che l'Italia è nell'occhio del ciclone per l'incapacità di reagire alle violenze di genere, soprattutto in ambito familiare: dalla durissima condanna dell'Onu che, nel 2012, ha parlato di «crimine di Stato tollerato dalle istituzioni pubbliche per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne», alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del marzo 2017 che ha condannato il nostro Paese per violazione del diritto alla vita, in quanto le Autorità italiane non sarebbero efficacemente intervenute per proteggere una donna e i suoi figli, vittime di violenza domestica.

La Legge sul femminicidio, entrata in vigore con il decreto-legge 93 del 2013, ha costituito un mero palliativo in un contesto d'emergenza nazionale, anche se più di un osservatore qualificato ha osservato come tale misura sia stata strategicamente assunta solo per dare formale applicazione alla Convenzione di Istanbul - approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. In quella sede pur senza fare nomi l'Italia era fra gli indiziati - si poneva particolare enfasi sulla necessità di creare meccanismi di collaborazione per un'azione sinergica tra tutti gli organismi, statali e non, che rivestono un ruolo nella funzione di protezione e sostegno alle donne vittime di violenza.

Il decreto-legge del 2013 non ha affatto risolto questo problema che è, essenzialmente, un problema di insufficiente coordinamento fra organi preposti. Lo dimostra il fatto, evidenziato da studi statistici, che su 10 casi di donne vittime di violenze domestiche ben 7,5 avevano precedentemente richiesto l'intervento delle Forze dell'Ordine ma per una ragione o per l'altra, le denunce non hanno avuto alcun effetto. Le Autorità di pubblica sicurezza raccolgono denunce che non trovano nella Magistratura un'adeguata risposta sanzionatoria e preventiva.

I giudici civili e penali troppo spesso minimizzano le segnalazioni, derubricandole in casi di conflittualità domestica. É rimasta sostanzialmente un unicum la condanna risarcitoria pronunciata dalla Corte d'Appello di Messina nel giugno 2017 contro due Pm e contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri per le gravi lacune mostrate dai magistrati che avevano trascurato le dodici denunce presentate da una donna poi uccisa con sei coltellate dal marito. Aggravanti specifiche e braccialetti elettronici non bloccano la mano dei boia accecati dalla gelosia o dal furore se non li si mette in condizioni di non nuocere alla prima segnalazione ricevuta.Occorre cambiare marcia, superare la passività giudiziaria, innescando un percorso virtuoso che sappia leggere le statistiche impietose come un segnale di sconfitta dello Stato che ha abdicato al suo compito fondamentale di proteggere i propri cittadini.

La neutralità favorisce l'oppressore, mai la vittima.

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