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La linea dura non paga, Mariano accerchiato

Il premier deve far fronte al disastro del partito. Il dossier catalano è bollente

La linea dura non paga, Mariano accerchiato

Mariano Rajoy appare lontanissimo dalla Catalogna e si aggrappa alla legge. Asserragliato a palazzo sa di essere il grande perdente. Alla Moncloa l'odore della sconfitta è più lieve, ma là, nella regione ribelle, il suo partito, ha fatto risultati da vergogna. Da 11 a 3 seggi. Niente. Spazzati via. Lui, in vista del dialogo per il futuro governo catalano ripete che «va assicurato il rispetto della legge». Come fosse l'unica certezza, il notaio grigio di Santiago di Compostela, lo ripete come un karma. Il capo dell'esecutivo ha spiegato che qualunque sia il governo una soluzione cui arriveranno i partiti catalani, «il governo risultante sarà, come tutti i governi, sotto lo stato di diritto». Questa è una condizione indispensabile per la normalità in Catalogna. Ma la situazione non è facile. Il giorno dopo il voto siamo di nuovo alla casella del via: la Generalitat con una maggioranza indipendentista di stretta misura.

Ma è chiaro, la Catalogna ha voluto punire lui, l'uomo che ha sfoderato il pugno di ferro quando ormai era troppo tardi. Lui che ha aspettato e guardato quasi senza capire che la situazione stava degenerando, che il mostro creato dall'indipendentismo stava crescendo e iniziava a mordere, a essere pericoloso. Per tutti. E alla fine per lui. Invocare l'articolo 155, aver mostrato i denti ha arginato, ha messo una toppa, ma non gli ha fatto vincere simpatie. Non è riuscito a scalfire l'opinione pubblica, anzi. Usando la mano pesante ha rafforzato l'insofferenza indipendentista. «L'ho fatto non per guadagnare voti ma per difendere l'interesse generale».

Ma il vittimismo non attacca. Non adesso. La sua autorevolezza è scivolata giù al punto che chi aveva sempre votato Partito Popular ha preferito optare per Ciudadanos, l'altro schieramento che dice no all'autonomia. Hanno preferito dare fiducia al volto fresco e giovane di Ines Arrimada, la leader di Ciudadanos. È lei la vera vincitrice, lei, con il suo partito sono stati i più votati. E la tattica di Rajoy è chiara, è lei il male minore, anzi, il futuro. Con Puigdemont non si tratta, nonostante il president in fuga abbia lanciato un segnale, abbia chiesto un incontro fuori dalla Spagna. Rajoy ha risposto un seccatissimo no. Hanno ricominciato a battibeccare i due. Non si tratta con i nemici. Con Ines invece è tutta un'altra storia. «Sono pronto a trattare con il vincitore. Che è Ines». Con Ciudadanos il progetto politico è ambizioso, si guarda ai ponti che i due schieramenti potrebbero gettare insieme.

La Spagna e la Catalogna sono divise e lontanissime, come non mai. Questi tre mesi di astio silenzioso non sono passati senza lasciare traccia. Hanno perso pesantemente, economicamente tanto tutte e due. Ora è il tempo per la ragionevolezza, di fare alleanze e di usare la diplomazia. Per due volte la popolazione catalana è stata chiamata alle urne.

Eppure Madrid e Barcellona non hanno fatto alcun passo in avanti verso una soluzione della questione catalana. E il baratro è li, ad un passo. Con una certezza per tutti: Madrid non può imporre l'unità e Barcellona deve ripartire. Prima che sia troppo tardi.

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