La Russia ha esercito e forza economica per vincere la guerra. Prima di ricevere l'inviato Usa Steve Witkoff Vladimir Putin l'ha ripetuto in due discorsi diversi, di fronte a militari e businessman. L'atteggiamento nei colloqui è stato conseguente: da Mosca non è arrivata nessuna concessione, di nessun tipo.
Guardando alla società russa sembra difficile pensare il contrario: l'economia è sempre più militarizzata, con la definitiva sottomissione del settore privato alle esigenze belliche. L'equilibrio delle élite dirigenti è stato ulteriormente spostato a favore dei falchi di regime, mentre appaiono i primi segni di una dinastia personale con l'attribuzione di compiti delicatissimi per quanto riguarda il welfare di guerra alla cugina del presidente Anna Tsivileva. Libertà personali e minime forme di dissenso, dall'uso di Whatsapp alle canzoni cantate in piazza, vengono trattate sempre più duramente. Certo, l'avanzata sul campo è ancora lenta, lentissima. L'Economist ha calcolato che al ritmo degli ultimi mesi Mosca avrebbe bisogno fino al maggio 2028 solo per conquistare le provincie di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk, che ha già formalmente annesso.
Putin sa, come dice un vecchio adagio, che in Russia nulla è più pericoloso che mostrare segni di debolezza. Per questo serra la presa.
Fidando nella inesauribile capacità di sofferenza dei suoi combattenti, sembra scommettere su tre elementi: il lento esaurimento delle forze ucraine, l'apparente volontà di sganciamento degli americani, la "war fatigue" europea. Nel frattempo, come Hernán Cortés con i suoi conquistadores, brucia le navi che potrebbero consentire a lui la ritirata e al mondo la pace.