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L'integrazione scambiata per razzismo

Stupore, sdegno, riprovazione, questa volta è sotto accusa un libro scolastico e indovinate un po' per quale motivo? Tanto è il gioco delle tre carte, se non è sessismo, è razzismo o entrambe le cose.

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Stupore, sdegno, riprovazione, questa volta è sotto accusa un libro scolastico e indovinate un po' per quale motivo? Tanto è il gioco delle tre carte, se non è sessismo, è razzismo o entrambe le cose. Sentite qui, a scriverlo sembra un po' una barzelletta: c'è un manuale di letture per la seconda elementare, Le avventure di Leo, dove sono raffigurati diversi bambini, e fin qui tutto ok. Uno dice «quest'anno io vorrei andare sempre in giardino in ricreazione», un altro dice «quest'anno vorrei fare tanti disegni con i pennelli», un altro, nero, che dice «quest'anno io vuole imparare italiano bene». È probabile che le intenzioni degli autori del Gruppo Editoriale Raffaello fossero quella di rappresentare proprio un migrante, un bambino africano in Italia che si sta integrando e vuole imparare la lingua. Carino no? Ma figuriamoci. Un casino. S'inalbera l'organizzazione no profit «Educare alle differenze» (e non erano appunto rappresentate le differenze, in maniera giocosa?), s'inalberano una mamma rappresentante di mamme su Facebook («mi mancano le parole per dire quanto siano razzisti», neppure stessimo parlando di un manuale del Ku Klux Klan), s'inalberano anche gli alberi, soprattutto quelli nei pressi di Repubblica, dove Ilaria Venturi ci fa notare un passaggio scabroso, terribile, intitolato Un amico venuto da lontano. Concentratevi perché non è facile. Eccolo qui: «Questa mattina la maestra ci ha presentato Emmanuel, un amico con la pelle scura che ha sbagliato tutte le parole, allora noi bambini ci siamo messi a ridere, ma la maestra ha detto: Provate voi ad andare in un Paese dove tutti parlano un'altra lingua!».
Giuro che ho dovuto rileggerlo quattro volte, come se fossi Indiana Jones davanti a un geroglifico da decodificare. L'ho pure guardato in controluce e provato a scaldare, magari salta fuori un negretto legato. Voglio dire, mi sembrava un racconto edificante dove i bambini, propensi per natura a prendere in giro chiunque, e dunque proprio le diversità (i bambini di base sono stronzi, di qualsiasi etnia siano), venissero educati facendogli presente che se fossero loro ad andare in Africa o in un Paese che non conoscono sarebbero nella posizione del bambino di cui non ridere. Il messaggio è appunto: siamo tutti uguali. Invece no. C'è sotto qualcosa. È un testo schifosamente stereotipato, razzista, insultante, da bruciare, come dicono a Repubblica, e le mamme, e i no profit, e io mi sto concentrando per sentire tutta la mia indignazione, e niente, mi mancano i codici per comprendere il testo.

Però, penso con invidia, quanto deve essere bello, indignarsi così ogni giorno.

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