Milano - Niente intesa fra lo Stato e l'islam italiano, almeno in questa legislatura. Il possibile accordo fra governo e musulmani italiani slitterà a dopo il voto politico, e sarà condizionata ovviamente dagli scenari che usciranno dalle urne.
L'intesa è decisiva: da questa dipende la grande partita di tante nuove moschee, ma anche l'introduzione di tutte le misure garantiste previste dal «patto nazionale per un islam italiano» firmato al Viminale. Nel protocollo, sottoscritto a febbraio dal ministro dell'Interno Marco Minniti con dieci sigle islamiche, venivano indicati come impegni i sermoni in italiano, l'albo degli imam, gli standard urbanistici e di sicurezza dei luoghi di culto, e anche le azioni per contrastare il radicalismo e promuovere i diritti civili (ovviamente anche delle donne, tallone d'Achille dell'islam politico). Quel primo passo, 9 mesi fa, aveva acceso grandi speranze nelle moschee italiane, ma i tempi ora si stanno allungando e adesso nessuno vede più le condizioni per chiudere tutto in pochi mesi. Lo scenario internazionale e la recrudescenza del terrorismo poi, consigliano a tutti massima cautela in ogni passaggio di un iter già molto complesso.
Per arrivare all'intesa prevista dalla Costituzione serve il riconoscimento giuridico dei contraenti e su questo si stanno dilatando i tempi. Possibile solo il traguardo parziale, non certo quello finale. «Non sarà facile, la speranza è che si possa arrivare al riconoscimento prima della fine della legislatura» spiega Massimo Abdallah Cozzolino. L'imam napoletano è segretario generale della Confederazione islamica italiana, la maggiore sigla dell'islam in Italia con 345 centri affiliati in tutto il Paese. «Noi siamo nati nel 2012 - spiega - e nella prima fase ci siamo dedicati alla democrazia interna. Ora siamo al lavoro per adempiere a questi obblighi formali». Il riconoscimento dipende da una decisione del governo, che si avvale del parere del Consiglio di Stato. L'esito finale è un decreto del Quirinale. La Confederazione è una delle 4 sigle protagoniste di questo passaggio. Anche la discussa Ucoii è al lavoro mentre la moschea di Roma, fra le quattro, è l'unica già riconosciuta, e la nomina a presidente del deputato pd Khalid Chaouki ha fatto ipotizzare un'accelerata che tagliasse fuori gli altri.
Molto avanti la milanese Coreis (la Comunità religiosa islamica italiana, modello di apertura e dialogo) già arrivata due volte davanti ai magistrati amministrativi. Dopo un primo «sì» le sono state richieste integrazioni, inviate due settimane fa al Consiglio: «La prima richiesta l'abbiamo presentata nel '98 e ci fu parere favorevole - spiega l'imam Yahya Pallavicini - però nel 2001 non c'erano le condizioni per il riconoscimento». Ora la nuova domanda «Siamo di nuovo in attesa, la speranza è che ci siano delle possibilità per un'associazione che da decenni lavora per certe prospettive. Potrebbe essere un segnale di serietà nei rapporti fra l'islam italiano e lo stato laico, un segnale in grado di prevenire qualsiasi entrismo o infiltrazione di realtà incompatibili col nostro sistema. Altrimenti, al contrario, si apre uno scenario di disparità, in cui c'è un'intesa con buddisti, ebrei, protestanti e indù ma non con l'islam. Io sono un uomo di fede, devo essere fiducioso».
Nella stessa direzione lavora Maryan Ismail, che ha firmato il patto per conto della comunità somala e chiede attenzione: «Il nostro forum dei musulmani laici non gestisce moschee, facciamo un lavoro culturale, per i diritti delle donne e per il pluralismo.
Io spero che si arrivi all'intesa, anche per uscire da questa incertezza su chi rappresenta chi, senza papi islamici. Ma a occhio e croce ora non ci sono tempi tecnici per farlo in pochi mesi - conclude - e io credo anche che sia giusto valutare tutto col massimo scrupolo».
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