Politica estera

L'Iran non reagisce e punta sull'atomica

Netanyahu ha ristabilito la deterrenza. Teheran frena, ma ha tempo per un piano di lungo termine

L'Iran non reagisce e punta sull'atomica

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Quale sarà il prossimo scenario dello scontro Israele Iran? Per immaginarlo bisogna scordare i paradigmi occidentali e le tempistiche dei nostri calendari politico militari. In Medioriente la diplomazia è subordinata alla forza. E Israele non può sottrarsi alle legge che regola i rapporti con i vicini. Una legge semplice e brutale, in base alla quale sferrare l'ultimo colpo è fondamentale per non venir sopraffatti. Una legge che impone a Benjamin Netanyahu di continuare a esercitare la deterrenza in ambito regionale e a recuperare quella interna persa all'alba del 7 ottobre. Per questo, l'affondo dimostrativo di giovedì notte non deve stupire. Cozza contro tutte le regole di un'Europa dove l'iniziativa bellica va scansata a ogni costo, ma risponde in pieno alle esigenze di un Bibi che in sei mesi non ha né sconfitto Hamas, né eliminato i suoi capi, né salvato gli ostaggi.

All'onta delle mancate promesse s'è aggiunto lo scacco, numericamente minimale, ma strategicamente significativo, delle testate iraniane che sabato hanno superato lo scudo messo in piedi da Israele con l'appoggio di Usa, Francia, Gran Bretagna e Giordania. Le testate arrivate a bersaglio si contano sulle dita di due mani, ma nella dottrina bellica israeliana neppure quel minimo successo può esser lasciato impunito. Farlo significherebbe concedere all'Iran il diritto di riprovarci. In base alla stessa logica, Israele ha dimostrato ieri di poter bucare le difese iraniane con risorse assai inferiori. Non a caso è andato a bersaglio con una manciata di droni.

Le dottrine israeliane fanno i conti, d'altra parte con quelle, altrettanto inafferrabili per noi europei, di una Repubblica Islamica disposta ad accettare di buon grado la rivalsa nemica. Anche qui vi sono due dimensioni. La prima è quella interna. Un regime in crisi di consensi deve far credere che la guerra proceda con successo. Ma il vero motivo per cui Teheran è disposto ad accettare l'ennesima staffilata israeliana è legato ai tempi della sua strategia. Al pari dei talebani in Afghanistan, gli ayatollah sono convinti che il loro vantaggio risieda nel disporre di tempi molto più lunghi, non legati alle elezioni o alla volubilità delle opinioni pubbliche democratiche. Per questo l'ultimo dei loro obiettivi è uno scontro immediato con Israele capace di mettere a rischio i siti nucleari e il controllo delle milizie sciite attive tra Libano Siria, Irak e Yemen. In questa dimensione di lungo periodo, l'Iran ha due obiettivi. Il primo è assemblare una bomba atomica e trasformarsi nella seconda potenza regionale, dopo Israele, capace di esercitare una deterrenza nucleare. Il secondo è destabilizzare quei paesi arabi moderati come Giordania e Egitto, dove i governi stanno con Israele e l'Occidente, ma larghe parti dell'opinione pubblica si battono per la causa palestinese plaudendo ad Hamas e al sostegno garantitogli dall'Iran. Per questo Teheran è disposta, per ora, a piegare la testa.

Nella convinzione che il tempo gli consentirà di accerchiare il «piccolo Satana» e minacciarlo con quella stessa arma nucleare che Israele ha sempre considerato l'estrema opzione nei confronti dei propri nemici.

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