Nel giorno dell'ecatombe senza precedenti nelle acque del Mediterraneo di fronte alla Libia, rischia di passare quasi inosservato l'ultimo atroce capitolo dello stragismo anticristiano targato Isis sulla terraferma dello stesso Paese. Una volta di più, i sanguinari fanatici dell'integralismo islamico hanno affidato a un video (della durata non indifferente di 29 minuti) il messaggio a base di minacce e di massima brutalità che intendono trasmettere al mondo. Questa volta le vittime, in numero di ventotto, sarebbero cristiani copti di nazionalità etiopica: il condizionale è dovuto alla mancata conferma da parte di Addis Abeba, le cui autorità sono ancora in cerca di informazioni certe sulla nazionalità delle persone uccise.
Chi affronta il disgusto e l'orrore volutamente stimolati dalle immagini diffuse sotto il logo di al-Furqan, che è o vuole porsi come una garanzia di ufficialità delle produzioni mediatiche dello «Stato islamico», s'imbatte in due sequenze di macabre immagini: due esecuzioni di gruppo a sangue freddo, tanto per cambiare, il primo compiuto con colpi di pistola alla nuca e il secondo con il metodo brutale delle decapitazioni già ampiamente documentato in simili episodi del recente passato.
In questo caso le vittime sono uomini di colore, costrette in ginocchio davanti ai loro carnefici a volto coperto. Una didascalia del video afferma che vengono messe a morte perché sono «seguaci della nemica chiesa etiopica» e che i teatri dei massacri sarebbero le province libiche di Barka (Cirenaica) e del Fezzan (nel sud desertico del Paese). Si sprecano poi, come d'abitudine in questi casi, i proclami minacciosi e roboanti.
Un miliziano vestito di nero e mascherato si rivolge, parlando inglese con accento americano, a tutti i cristiani indistintamente, garantendo loro che «contro le nazioni crociate la guerra sarà perenne» e che «l'Isis vi troverà ovunque, anche nelle vostre fortezze, ucciderà gli uomini e renderà schiavi donne e bambini». Questo trattamento medievale, naturalmente, potrà essere evitato con una opportuna (e chiaramente non importa quanto convinta) conversione alla religione musulmana. In alternativa, la magnanimità del califfo al-Baghdadi prevede, sempre in linea con i precetti coranici che risalgono al VII secolo, il pagamento di una tassa «di compensazione» per i non musulmani: nelle aree della Siria e dell'Irak controllate dall'Isis essa viene tra l'altro già imposta a chi è scampato all'uccisione pura e semplice, ed è di solito esosissima. A completare l'opera di propaganda, alle immagini degli assassinii degli sfortunati cristiani d'Etiopia seguono quelle di altre «imprese» compiute dai seguaci dell'autonominato Califfo: chiese e altri simboli cristiani devastati e distrutti nello «Stato islamico» e - chissà perché proprio lui - una fotografia del Papa emerito Benedetto XVI.
Il video, di cui è ancora incerta l'autenticità, presenta caratteristiche di fattura molto simili a quello rilasciato in febbraio dove veniva mostrata l'uccisione di 21 cristiani copti egiziani.
Questa temporanea incertezza ha appunto spinto le autorità etiopiche a sospendere la conferma della nazionalità delle 28 vittime: Addis Abeba si è limitata a condannare la barbarica strage e a impegnarsi a organizzare un viaggio di rientro in Etiopia per i suoi lavoratori che si trovano in Libia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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