I n questi giorni l'agguato dei media a qualsiasi ghiotto segnale che tutto da queste parti può prendere fuoco e esplodere in una carneficina, è stato commovente. Una passione che ha portato a esaltare ogni manifestazione, ogni piccolo falò di bandierine e ritratti come fossero una rivoluzione. In realtà anche il numero dei palestinesi coinvolti, salvo forse che il venerdì alla Moschea, è stato contenuto, la gente ha voglia di vivere e lavorare e per ora i leader sembrano distanti dal sentimento popolare. Ma il nome magico Yerushalaim, Jerusalem, Al Quds in arabo, sempre accompagnata dalla formula un po' stanca «sacra alle tre religioni» è diventata un passepartout che garantisce lettori, ascoltatori specie quando «prende fuoco» come si dice.
E perché prende fuoco? Anche qui la lettura sembra ovvia, ma in realtà lo è meno di quel che si immagina. Sempre si ripete che la città è sacra alle tre religioni. Ma questo non basterebbe senza una miccia politica. La ragione sta nel fatto che l'Islam non può accettare che Gerusalemme non sia interamente sua. Lo ripetono anche i manifestanti «collo spirito, col sangue, ti difenderemo Gerusalemme», lo slogan che la Moschea di Al Aqsa sia in pericolo è un mantra caro ai terroristi suicidi che corrono a salvarla anche se lo status quo conserva la Spianata delle Moschee giorno dopo giorno. Ma Gerusalemme non è mai citata nel Corano e se ha avuto un'indubbia valenza politica per l'Islam conquistatore, meno ne ha avuto per l'Islam religioso. Finché diventa politico.
La conquista araba nel 638 ha dato una sua impronta a quella che era stata per un millennio la capitale ebraica, conquistata dai romani nel 70, poi gestita dai Bizantini. Ma né gli ottomani né i giordani ne hanno fatto una capitale; al contrario anche sotto l'impero ottomano che inizia nel 1517 per passare la mano agli inglesi solo nel 1917 è stata periferica e negletta, nonostante le bellissime moschee. La città che al tempo del Secondo Tempio aveva 200mila abitanti, quando arrivarono i Turchi era scesa a 10mila. Gli ebrei, in genere bistrattati coi cristiani se non nel primissimo periodo sotto Omar, si abbarbicarono alla loro città santa, citata nella Bibbia più di 600 volte, nonostante le persecuzioni. Erano maggioranza già nell'800. Mecca e Medina sono per secoli le città sante per i musulmani. Il filosofo Ibn Taymyya vissuto all'inizio del '300 sostenne che l'esaltazione di Gerusalemme era giudeizzazione da rifiutare. Chi sostiene che la santità della città deriva dal viaggio notturno del profeta sul cavallo Al Buraq, contrasta con chi sostiene che quella città non è Gerusalemme. Nel 680 il califfo di Damasco decise di costruire un tempio sulla Rocca di Gerusalemme, il monte del Tempio, e di suggerire pellegrinaggi nel luogo per contrapporlo per motivi politici alla santità di Mecca e Medina. Ma Gerusalemme è rimasta in secondo piano fino alla guerra del '67 in cui Israele la unificò vincendo l'attacco di tutti i Paesi arabi coalizzati, compresa la Giordania che occupava mezza città. Da quel momento cresce di fronte alla disillusione araba la distanza del mondo arabo dalla leadership nazionalista e progressista (come Gamal Nasser, il grande sconfitto) e cresce vertiginosamente insieme al rifiuto di Israele, il ricompattamento intorno a temi religiosi.
È da allora che si costruisce da parte della leadership palestinese che presto si definirà intorno alla figura di Arafat la potenza suggestiva e religiosa di Gerusalemme, anche per chiamare l'aiuto del mondo arabo alla propria causa.
Arafat cominciò a invocare il martirio per Gerusalemme; fece di questa città la bandiera islamica più condivisibile contro Israele e l'Occidente, seguito a ruota dal conformismo terzomondista e antisraeliano dei tanti che non aspettavano altro prima nel mondo comunista, poi in Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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