Un Medvedev in vena, come sempre ormai, di gratuite grossolanità, l'ha definita una visita di esperti di rane, di salsicce e di spaghetti in uno Stato che entro due anni non esisterà più. Ma il senso della missione a Kiev di Olaf Scholz, di Emmanuel Macron e di Mario Draghi (oltre che del presidente della Romania Klaus Iohannis, che un suo ruolo da svolgere ce l'aveva eccome) va ben oltre l'arrogante tentativo di sminuirlo fatto dall'ambizioso eterno numero due del Cremlino. Il cancelliere tedesco, il presidente francese e il premier italiano non solo sono convinti che l'Ucraina continuerà a resistere e a esistere, ma che sia preciso dovere dell'Europa di aiutarla concretamente a farlo. A parole lo hanno detto concordi, di fatto però si sentono le differenze che generano debolezza.
Le tre principali potenze dell'Ue confermano a Volodymyr Zelensky sia la volontà di contribuire a sostenere Kiev dal punto di vista militare pur nella ricerca di un negoziato di pace, sia quella di partecipare decisivamente alla ricostruzione di tutto ciò che i russi stanno intenzionalmente distruggendo con l'obiettivo dell'annichilazione. C'è poi il fondamentale capitolo politico, che ruota attorno alla prospettiva di adesione dell'Ucraina all'Ue e alla partecipazione di Zelensky al prossimo G7 (la prima è di lungo termine, la seconda imminente). E quello, non meno importante, rappresentato dal piano per consentire a Kiev di esportare una buona parte delle sue gigantesche riserve di cereali, un piano in cui la Romania, con il suo lungo confine terrestre con l'Ucraina e con i suoi porti affacciati sul Mar Nero e protetti dalla Nato, potrà svolgere un ruolo chiave.
La visita dei tre grandi d'Europa a Kiev ha dunque un valore enorme. Testimonia che la tenace battaglia di Zelensky per vedere riconosciuto al suo Paese l'agognato ruolo di partner dell'Unione a pieno titolo sta avendo successo. Questo non era affatto scontato all'inizio della guerra, e la brutalità scatenata dai militari russi contro i civili ucraini ha paradossalmente contribuito a ottenerlo: nessun leader europeo, condotto dinanzi alle prove dei peggiori crimini di guerra, può permettersi di sminuirne il senso anche politico. Rimane però il fatto che Draghi, Macron e Scholz sono arrivati a Kiev insieme, ma anche se il presidente francese ha dichiarato che scopo della missione era quello di inviare un messaggio di unità europea a tutti i cittadini ucraini, i tre non hanno usato un linguaggio univoco. Queste differenze pesano e sono certamente risuonate durante i colloqui di ieri con Zelensky.
Dei tre, Mario Draghi è quello che ha mostrato maggior vicinanza alla causa ucraina. L'Italia, ha detto il premier, vuole per Kiev lo status di candidato all'adesione all'Ue e sosterrà questa posizione nel prossimo Consiglio Europeo. Inoltre, aiuterà nell'immane lavoro di ricostruzione. Quanto agli aspetti militare e diplomatico, Draghi li vede strettamente interconnessi. Le sue parole sono state molto chiare: vogliamo la pace, ma l'Ucraina deve difendersi e a lei sola spetta il diritto di scegliersi la pace che ritiene accettabile e che solo così potrà durare.
Draghi parla di «sostegno incondizionato» e invita l'Europa a dimostrare lo stesso coraggio di Zelensky. Non fa confusione tra pace e libertà, lodando il popolo ucraino «che si è fatto esercito per respingere l'aggressione russa e vivere libero». A parole anche Macron condivide tutto questo, ma si è fatto precedere a Kiev da dichiarazioni in cui richiama all'opportunità di «non umiliare Putin», alla necessità «prima o poi» per Zelensky di negoziare un compromesso (prevedibilmente doloroso) con l'invasore russo e da moniti a prevedere tempi lunghissimi per l'ammissione in Europa, che potrebbe addirittura non essere a pieno titolo: ovvio che a Kiev vorranno capire dai fatti quale dei due è il Macron vero.
Su Scholz infine, che ieri pure ha svolto la parte dell'affidabile amico dell'Ucraina, pesa fin qui l'imbarazzante nomea di uomo che promette ma non mantiene: nel Donbass stanno ancora aspettando mortai e carri armati tedeschi che potrebbero fare la differenza contro i russi.
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